La corsa al gas e al petrolio negli Stati Uniti sta portando al rapido esaurimento delle forniture di acqua nella maggior parte delle zone aride del Paese. Dei quasi 40.000 pozzi di petrolio e di gas trivellati dal 2011, infatti, i tre quarti sono situati in zone dove l’acqua è molto scarsa, e il 55% in aree già colpite dalla siccità. A rivelarlo è un recente rapporto del Network di investitori Ceres di Boston (USA). Che avverte: oltre agli scompensi a livello ambientale, si prevedono aspri conflitti fra gli operatori dei diversi settori maggiormente bisognosi di acqua. Per non parlare degli effetti sulle popolazioni locali che, dal Texas alla California, sono già fortemente provate dalla scarsità idrica.

I consumi idrici del fracking d’Oltreoceano, quantificabili già in oltre 97 miliardi di litri d’acqua, potrebbero presto andare fuori ogni controllo. Servono urgentemente nuove regolamentazioni, che evitino la collisione fra il mondo industriale e quello dei privati cittadini statunitensi. A lanciare l’allarme è Mindy Lubber, presidente del Ceres green investors’ network , per cui “la fratturazione idraulica sta accrescendo la competizione per l’acqua in alcune delle regioni più siccitose del Paese”. Le fa eco il professor James Famiglietti, idrologo dell’Università della California, Irvine, per cui questi dati sono un campanello d’allarme: “Capiamo come Paese che abbiamo bisogno di più energia, ma è tempo di avviare un dialogo sugli impatti che ci sono, e fare del nostro meglio per cercare di minimizzare i danni”.

Se il pensiero di provare a ridurre o ottimizzare il consumo di energia non sfiora Famiglietti, lo fa una semplice considerazione: in Texas, dove è stata consumata ben la metà dei 97 miliardi di litri d’acqua di cui sopra e dove la produzione petrolifera attraverso lo stesso fracking è destinata a raddoppiare nell’arco dei prossimi cinque anni, la situazione deve cambiare. È una questione di limiti fisici, oltre che economico-sociali.

Già ventinove comunità in tutto il Texas potrebbero restare senza acqua nell’arco di 90 giorni, secondo la commissione del Texas sulla qualità ambientale. Quasi tutti i pozzi del Colorado (ben il 97%), secondo lo studio Ceres, sono invece situati in zone dove la maggior parte delle acque sotterranee e di superficie è già contesa tra l’agricoltura e le città. Un problema non da poco, visto che, sempre secondo la ricerca in questione, la domanda di acqua raddoppierà, portando il consumo a 6 miliardi di galloni entro il 2015 (il doppio di quanto consuma l’intera città di Boulder in un anno).

Alcuni produttori di gas e petrolio cominciano a riciclare l’acqua, dice il rapporto. Ma i risparmi ottenuti finora sono risibili, se l’intenzione è quella di compensare la grande richiesta per il fracking prevista nei prossimi anni. E il problema, come spesso accade, resta delle comunità rurali e dei piccoli agricoltori. “I produttori di shale gas stanno avendo un impatto significativo a livello di contea, soprattutto nelle piccole contee rurali con limitate capacità di infrastrutture idriche”, viene scritto nel rapporto. Contee che, come quelle che includono la Eagle Ford Shale, possono presto aspettarsi “gravi problemi di stress idrico”.

Andrea Bertaglio

Fonte: LaStampa.it

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