Era il 1992 quando con la nascita della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, per la prima volta i grandi del Pianeta si sono trovati per discutere di riscaldamento globale. Sono passati 25 anni e ad oggi si continua ancora a… parlare. Parole, parole, parole. E poco più. La questione climatica è ancora lì relegata tra le notizie minori, le problematiche ambientali e le cose da ecologisti. Come se non riguardasse tutti e non compromettesse il presente e il futuro dell’umanità.

Si è appena conclusa la Cop 23 di Bonn, l’assemblea plenaria che, dopo settimane di numerosi incontri e intensi colloqui, avrebbero dovuto portare dalle promesse ai fatti. Il condizionale è d’obbligo visto che per ora si sono fermati al “dialogo”. Che significa tutto e niente. Soprattutto niente. Perché per passare ai fatti sarebbe bastato approvare i decreti attuativi dell’Accordo di Parigi. Come si aspettavano in tanti: istituti internazionali, Ong, organizzazioni non governative di tutto il mondo e soprattutto i governi dei paesi in via di sviluppo. Ma non si è fatto.

Come Movimento per la Decrescita felice abbiamo seguito con attenzione questa ennesima Cop e ci piace proporre anche la nostra voce ed opinione in merito. Così come abbiamo fatto nel 2015 per la Cop21 di Parigi. Ci fa piacere che l’ambiente sia sempre di più al centro delle agende politiche europee ma questo non deve essere solo fumo negli occhi per i cittadini. Quindi è bene cercare di scendere nel dettaglio e dare le giuste informazioni ed opinioni sui lavori svolti.

L’unico passo in avanti riguarda la riduzione delle emissioni di CO2 (Nationally determined contribution, Ndc). I delegati hanno concordato di avviare nel 2018 un processo di revisione dei piani nazionali di riduzione delle emissioni, con l’intento di aumentarne l’ambizione. Anche perché gli sforzi attuali non bastano minimamente per raggiungere l’obiettivo concordato a Parigi di limitare il riscaldamento globale a +2 °C rispetto ai livelli preindustriali entro fine secolo. Anzi, se si continua così, ben presto ci ritroveremo a sforare i 3 gradi, con tutto ciò che questo comporta.
Per raggiungere i target, la COP 23 ha prodotto un regolamento che si concentra su alcuni aspetti, tra cui la proposta di mettere nero su bianco le modalità di segnalazione e monitoraggio delle emissioni entro il dicembre del prossimo anno. I paesi hanno inoltre concordato di creare piattaforme speciali per le questioni di genere e le popolazioni indigene, nel tentativo di aumentarne l’influenza sulle decisioni.

Da segnalare anche il rinnovo degli impegni da qui al 2020 (anno in cui l’Accordo di Parigi diventerà operativo) in materia di riforma del sistema agricolo, fortemente spinto dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao), che da tempo insiste sul fatto che proprio i cambiamenti climatici rappresentano una delle principali cause di malnutrizione nel mondo e che l’agricoltura è una delle principali cause del riscaldamento globale.

“Durante il 2017, abbiamo assistito a uragani che hanno devastato i Caraibi, tempeste e inondazioni che hanno distrutto migliaia di abitazioni e scuole in Asia meridionale, ondate di siccità eccezionali in Africa orientale. Queste catastrofi rappresentano già la realtà per numerose comunità. È per questo che la Cop 23 avrebbe dovuto portare avanzamenti concreti per aiutare queste popolazioni. Invece, con rare eccezioni, i paesi ricchi sono arrivati a Bonn a mani vuote”, ha osservato Armelle Lecomte, responsabile clima di Oxfam France.

Non per niente la maggioranza dei delegati a Bonn arrivava proprio dai luoghi in cui questi cambiamenti sono più violenti, continente africano in testa. A testimonianza del fatto che solo chi non subisce queste direttamente sulla propria pelle può permettersi di non prendere seriamente questi incontri. Paradossale è che spesso, proprio chi è assente o riluttante a una svolta concreta, è chi, con il proprio stile di vita, di consumi e produzioni, queste catastrofi le causa.
Basti pensare che tra i capi di Governo si sono presentati solo la cancelliera tedesca Angela Merkel, e il presidente francese Emmanuel Macron.

E così mentre alcuni Stati continuano a sostenere che possa esistere un carbone pulito (gli Stati Uniti di Trump, ovviamente) e altri tergiversano sul come procedere, Bonn si chiude lasciando aperta, nuovamente, la più annosa delle questioni: i finanziamenti. Perché senza fondi e senza volontà di impiegarli, sarà difficile avviare qualsiasi piano a livello globale di mitigazione, transizione o adattamento.

Però qualcosa possiamo fare. E non solo prendendoci in prima persona le responsabilità che ad alti livelli alcuni non si vogliono prendere. Possiamo attuare tutti i giorni, nella nostra vita quotidiana così come nel nostro lavoro l’impegno di aderire a questi accordi.
Possiamo cambiare il punto di vista, far uscire la questione climatica dall’ambito ecologico e dipingerla come opportunità. Perché di questo si tratta. Non una palla al piede, non un obbligo oneroso. Un’inevitabile sfida ma anche e – soprattutto – l’unica possibilità di sviluppo che, dati alla mano, ci resta.  

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