articolo di ANTONIO CIANCIULLO per Repubblica.it

Un terzo della popolazione esistente si aggiungerà al bilancio del Pianeta nella seconda metà del secolo (da 7,6 miliardi a oltre 10). Un terzo del cibo attualmente prodotto viene sprecato. La coincidenza di questi due numeri è un caso. E non si può ovviamente immaginare di elidere i due problemi rendendo disponibili tutti gli alimenti che si buttano per nutrire la quota di umanità in arrivo: c’è una parte di perdita fisiologica in tutti i processi produttivi. Tuttavia, la misura dell’attuale sperpero di risorse è tale da suggerire la necessità di una riflessione sul sistema produttivo agricolo e, in particolare, sul meccanismo di produzione lineare che, nell’ultimo secolo, ha premiato la quantità più che la qualità, l’accumulo più che l’uso.

La contraddizione stridente. E’ la considerazione che emerge da vari studi compiuti dalla Fao ed elaborati da Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) in occasione della Giornata nazionale per la prevenzione dello spreco alimentare. Il punto di partenza del ragionamento è una contraddizione stridente: ogni anno vengono perdute, lungo l’intera catena di approvvigionamento, 1,3 miliardi di tonnellate di cibo per un valore di 2.600 miliardi di dollari. Buttiamo un fiume di alimenti – che sono costati terra fertile, acqua, emissioni serra, rifiuti – e nello stesso tempo una persona su nove soffre di fame e denutrizione.

Gli effetti del solo 1% di diminuzione. La riduzione di questo gigantesco spreco potrebbe contribuire a recuperare le perdite economiche e migliorare la vita delle persone, in particolare nelle aree più vulnerabili del mondo. La Banca Mondiale ha stimato che nell’Africa sub-sahariana una diminuzione dell’1 per cento delle perdite dopo la raccolta potrebbe portare a un guadagno di 40 milioni di dollari ogni anno: la maggior parte dei benefici andrebbe direttamente ai piccoli agricoltori locali. Ed è proprio questa la categoria che, su scala globale, produce più della metà degli alimenti usando solo il 25% dei terreni agricoli. Alcuni studi hanno evidenziato che le filiere corte, biologiche, locali, consentono di ridurre gli sprechi pre consumo fino al 5% (contro il 40% dei sistemi agroindustriali).

I suggerimenti della FAO e dell’Ispra. Per ridurre la piaga dello spreco ci sono: il supporto a reti alimentari locali, solidali, di piccola scala ed ecologiche; la tutela dell’agricoltura contadina e dell’accesso alla terra; l’agro ecologia e la tutela dell’agro biodiversità; l’agricoltura sociale, urbana e nelle aree interne; il contrasto agli illeciti; il sostegno alle attività di ricerca.

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