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Un contributo di Bernardo Severgnini , membro del Gruppo Tematico Economia&Decrescita (*)

Il sistema mediatico e la propaganda di potere tendono continuamente all’opinione pubblica le loro trappole semantiche, per confondere le idee circa le reali intenzioni delle loro politiche e per indebolire la potenza dei messaggi alternativi. E’ necessario smascherare queste operazioni e iniziare, senza paura, a chiamare le cose con il loro nome.

Ora che l’Italia è tornata in recessione, dai politici e dai media sentiremo sempre più spesso confondere il termine recessione con quello di decrescita, che sono due concetti diametralmente opposti. Questo equivoco può essere involontario, se chi lo afferma non conosce la differenza; o volontario, se chi lo afferma conosce bene la differenza ma ne approfitta per screditare il concetto di decrescita, un concetto che racchiude un messaggio di speranza e di felicità, ma che fa paura al sistema, ai suoi attori e ai suoi cantori.

Sia nel caso della recessione che nel caso della decrescita, si verifica una diminuzione del PIL, cioè della quantità di beni e servizi prodotti dal paese. Ma recessione significa che tu volevi crescere e non ci sei riuscito, decrescita invece significa che hai scelto deliberatamente di diminuire il PIL. E’ come la differenza che sta tra rallentare perchè hai finito la benzina e rallentare perchè hai schiacciato il freno. In entrambi i casi la macchina rallenta, ma nel primo caso rallenti senza volerlo e resti a piedi, nel secondo caso rallenti volutamente, per non andare a sbattere, per salvare la vita a te, ai tuoi passeggeri e agli altri utenti della strada.

La stessa differenza sta tra recessione e decrescita. Nel primo caso, tu hai fatto di tutto per crescere, pur di ottenere il “segno +” hai prodotto anche cose superflue e dannose, hai distrutto l’ambiente e creato disuguaglianze, hai fatto guerre, venduto armi, saccheggiato l’Africa e altri territori, e nonostante questo non sei riuscito a crescere, quindi tutto ciò avrà effetti tragici sul tuo sistema perchè si creerà disoccupazione, mancheranno i servizi sociali, aumenterà il debito pubblico, le parti più deboli della società avranno gravi conseguenze e saranno sempre più emarginate.

Nel secondo caso, invece, tu decidi di ridurre la produzione dei beni più inutili e più dannosi e di condividere l’utilizzo della ricchezza prodotta in modo da non creare scarti, da non creare emarginazione sociale, e in modo da poter godere meglio delle ricchezze naturali e anche di quelle prodotte dagli uomini, lavorando tutti meno e meglio e dando la possibilità alle generazioni future di fare altrettanto. Una differenza non da poco. Ma i media di potere tendono ad assimilare decrescita e recessione, presentando i due termini come sinonimi.

Persino nell’universo ambientalista in pochi hanno il coraggio di parlare di decrescita. Molti guardano con scetticismo a questo termine perché temono che sia poco appetibile alle masse e quindi poco spendibile nelle campagne politiche. La decrescita è ancora un tabù. Una parola che suona male alle orecchie di una società addestrata agli eccessi com’è la nostra. Una parola che non ha appeal.

Ma questa parola non può e non deve avere appeal. Non è stata ideata per essere venduta, non deve promettere facili soluzioni, non deve ingannare con falsi paradisi. A quello ci pensa già il modello dominante con tutta la sua grammatica autoreferenziale. Il galateo politically correct, ad esempio, impone di parlare di “sviluppo sostenibile”, che è un escamotage per continuare a crescere facendo finta di rispettare l’ambiente. Un ossimoro, utilizzato per cercare disperatamente di dare ancora un senso a questo sistema ottocentesco che si trascina in mezzo alle catastrofi che esso stesso ha provocato.

Il capitalismo ha provato e proverà fino alla fine a salvare se stesso, con tanti begli slogan ad effetto tesi a rassicurare la gente sulla tenuta del sistema. Oltre a “sviluppo sostenibile”, ricordiamo ad esempio gli slogan “crescita verde” o “green new deal”. Oppure prefissi che vanno molto di moda oggi come “green”, “bio”, “eco”. Tutti slogan, tutti bollini da apporre al logo della propria azienda per continuare indisturbati a rovinare il pianeta senza perdere clienti.

Questa è la stessa retorica ingannevole che confonde volutamente i concetti di recessione e decrescita, o che rappresenta la decrescita come un ritorno all’età della pietra. Anche su questo punto, cioè sulla questione tecnologica, è importante fare luce a scanso di equivoci: il paradigma della decrescita non ha nulla a che vedere col ritorno all’età della pietra, diciamolo una volta per tutte. Al contrario, incentivando una ricerca scientifica libera e svincolata dalle interferenze e dagli interessi del grande capitale, favorisce i progressi tecnologici, e soprattutto consente la diffusione delle migliori tecnologie a tutta la popolazione e non più soltanto a chi se lo può permettere. Quindi è assolutamente fuori luogo sostenere che decrescita voglia dire rinunciare alla modernità. Bisognerebbe piuttosto chiarire quale idea di modernità abbiano quelli che continuano a proporci questo distruttivo e iniquo modello consumista.

La verità è che il paradigma della decrescita (che economisti indipendenti di tutto il mondo considerano come unica alternativa possibile alla crisi del neoliberismo) propone soluzioni che andrebbero a penalizzare i grandi gruppi industriali e dunque le élites finanziarie che tirano i fili di questo sistema. Ecco perchè i loro apparati mediatici rigettano il concetto di decrescita e chi lo sostiene, e fanno di tutto per confondere l’opinione pubblica. Tutto questo per difendere un sistema che ci sta facendo andare a sbattere con lavoro sempre più schiavizzato, migrazioni internazionali, disuguaglianze vergognose e distruzione sempre più accelerata del pianeta.

E’ importante allora smascherare questi tranelli e iniziare a chiamare le cose con il loro nome. Non bisogna aver paura ad utilizzare il termine “decrescita”, anzi esso va difeso e portato avanti con determinazione, proprio perché è un termine scomodo, soprattutto per il potere. Ed è necessario che sia scomodo, come scomodo è il suono di ogni sirena che ci avverte di un pericolo. Un termine che non vuole ingannare nessuno, ma che al contrario vuole mettere in guardia l’opinione pubblica dalle trappole semantiche che il potere ha coniato per indebolire le spinte al cambiamento provenienti ormai da tutto il mondo.

La decrescita rappresenta un cambiamento radicale di prospettiva in grado di aprire finalmente la strada verso una società della cura, una società in cui non ci sia bisogno di superare gli altri per stare a galla, ma si possano sviluppare meccanismi di mutuo sostegno; in cui non ci sia bisogno di produrre sempre di più, consumare sempre di più, sfruttare e contaminare sempre di più il pianeta per “far girare” l’economia.

Questa prospettiva ci porterà a modificare qualcosa del nostro stile di vita, è vero, soprattutto nell’ottica di diminuire il superfluo. Ma si tratterà di cambiamenti che, se accompagnati da una equa distribuzione della ricchezza e del lavoro, e se guidati dai principi della condivisione, miglioreranno il nostro benessere, il nostro rapporto con gli altri e con il mondo. Sarà come smettere di fumare: bisognerà metterci impegno e forza di volontà, ma anche consapevolezza dei benefici che ne deriveranno. E dopotutto se non saremo noi stessi collettivamente a scegliere di cambiare sistema, la vita di ciascuno di noi cambierà comunque, per forza di cose, e cambierà in peggio. Sta già cambiando in peggio. Il coronavirus è solo un assaggio di quello che potrà succedere alla nostra salute e alla nostra economia se non cambieremo rotta.

La decrescita organizzata, volontaria e consapevole ci potrà condurre a costruire un pianeta più pulito, dove gli uomini saranno più sani, felici, rilassati, e potranno godere di una società più giusta, solidale, pacifica, moderna e tecnologica. All’età della pietra, invece, ci riporterà semmai questo capitalismo selvaggio, se non saremo capaci di abbandonarlo in tempo.

(*) Gruppo Tematico Economia & Decrescita MDF

Il Gruppo Tematico è nato nel giugno 2015 allo scopo di affrontare il rapporto tra Decrescita ed Economia in modo sistematico, sia a livello microeconomico (proposte economiche in ambiti specifici) che a livello macroeconomico (definizione dei parametri che possono caratterizzare uno scenario economico con un impatto ecologico sostenibile).

Unisciti a noi: Chiunque può entrare nel Gruppo Tematico, manifestando il proprio interesse e scrivendo la propria disponibilità all’indirizzo email: info@decrescitafelice.it

Per approfondire: I contributi, i modelli e gli articoli redatti dal Gruppo Tematico Economia & Decrescita MDF sono consultabili in questa sezione del sito

4 thoughts on “Chiamiamo le cose con il loro nome”

  1. Concordo sulla distinzione tra recessione e decrescita. La recessione è la diminuzione incontrollata delle merci prodotte e vendute sul mercato; la decrescita è la diminuzione controllata e selettiva degli sprechi.
    La decrescita non si propone come ossimoro della crescita, ma come una visione delle cose che predilige aspetti qualitativi da quelli quantitativi.
    Continuo però a non concordare su alcuni aspetti:
    – l’identificazione tra il modello di crescita dell’attuale neoliberismo globalizzato, con quello sviluppato nelle democrazie sostanziali.
    – Nell’articolo si parla giustamente di: “incentivare una ricerca scientifica libera e svincolata dalle interferenze e dagli interessi del grande capitale”. Questo lo si può fare SOLAMENTE in un contesto di recupero della sovranità (monetaria e politica) dagli enti sovranazionali, con lo scopo di sviluppare la democrazia popolare.
    – “La decrescita come unica alternativa al neoliberismo secondo economisti indipendenti di tutto il mondo”. Senza l’appropriazione teorica del recupero della sovranità monetaria e politica, con lo scopo di sviluppare una democrazia popolare, più che un’alternativa, AL MOMENTO, si presenta come una cura a VALLE dei disastri del neoliberismo.

  2. Credo anch’io che il recupero della sovranità monetaria e politica siano imprescindibili. In quale parte dell’articolo si afferma il contrario?

  3. Ciao! In nessuna parte dell’articolo – e in generale in MDF – si parla dell’importanza della sovranità monetaria al servizio di una Democrazia Sociale, per poter avere quelle risorse fondamentali, per sviluppare tecnologia e tutelare l’ambiente.

    Quindi se sei personalmente favorevole mi fa piacere, ma se non ne parli, a me lettore fai intendere che per te la questione monetaria sia neutra, come purtroppo traspare dal pensiero dei vertici di MDF.

    Chiudo con un piccolo suggerimento: nella tua risposta mi è sembrato di scorgere un atteggiamento un pò troppo sulla difensiva…

    Ti ringrazio per l’attenzione.

  4. Ciao Nicola. Grazie per il tuo interessamento. Il tema della sovranità monetaria non interessa solo me, ma tutto il movimento MDF. E’ un argomento centrale, su cui stiamo riflettendo da tempo nel gruppo tematico economia, nel quale stiamo studiando, con l’aiuto di esperti, la possibilità di proporre monete complementari locali che abbiano caratteristiche “decrescenti” (cioè, ad esempio, interessi negativi per impedire l’accumulo di capitale) e che possano servire a dirottare l’economia verso il bene comune. E’ chiaro che finchè la fiscalità sarà legata all’euro non si potrà avere una reale sovranità, ma questo è l’obiettivo a lungo termine, diciamo. Il fatto che non abbiamo ancora pubblicato molto su questo tema, non significa che lo stiamo trascurando, e non significa che non crediamo nella necessità di recuperare una sovranità monetaria e un maggiore controllo democratico sulla moneta, ma significa che siamo in una fase di elaborazione di proposte precise. Anzi, ti invito, se ti va, a darci una mano in questo senso. In calce a questo articolo ci sono i riferimenti per partecipare al gruppo tematico. il fatto poi che io non abbia menzionato la questione della sovranità monetaria nel mio articolo è perchè non si può accennare a un tema così grande senza poi approfondirlo, ma a quel punto sarebbe venuto fuori un articolo troppo lungo per i nostri standard, e la questione “mediatica” avrebbe perso centralità, mentre il mio intento era in questo caso porre l’attenzione sullo specifico aspetto dei media. Se invece vogliamo fare un discorso più generale, la questione della sovranità monetaria non è affatto neutra, anzi è un presupposto indispensabile per poter mettere in atto le trasformazioni della società che abbiamo in mente. Grazie comunque per le tue osservazioni e spero di averti risposto.

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