di Francesco Verrigni, MDF Cagliari

LA DECRESCITA FELICE

La Decrescita Felice è una rivoluzione culturale, si propone come alternativa per uscire dagli schemi caratteristici dell’odierna società consumistica. E’ la riduzione selettiva e consapevole dei consumi.

Quali consumi?

Quelli che rientrano nella categoria degli “sprechi”, purtroppo molto presenti nella nostra quotidianità. Sprechi di cibo, sprechi energetici, viviamo in un mondo dove la moderazione è un sogno ancora da raggiungere. La DF, quindi, non è la riduzione di tutti i tipi di merci, ma solo quelli di cui possiamo obiettivamente fare a meno.

Tra le altre cose, la DF si propone di uscire dalla logica mercantile degli scambi denaro/merce, in cui a tutto viene assegnato un valore monetario, tutto si può comprare e vendere in una piazza reale o virtuale, tutto può essere quantificato, tutti gli scambi meticolosamente registrati, in una sorta di mercificazione del vivente.

Anche il baratto, seppur un passo avanti, non consente di uscire da questa logica del quid pro quo.

Quello che come sostenitori della DF auspichiamo, infatti, è anche una rivalorizzazione dell’economia del dono, in cui oggetti, competenze, tempo vengono offerti ad un’altra persona senza aspettarsi nulla in cambio, per il solo piacere di donare. Ovviamente questo non è applicabile su tutto, ma piccoli gesti quotidiani possono aiutare a cambiare in meglio il nostro mondo.

 

L’INTERVENTO DELLO STATO NELL’ECONOMIA

La speranza di uscire dalle logiche mercantili non deve, però, far pensare che come Decrescenti auspichiamo un intervento massiccio dello Stato nell’economia. Per quanto una organizzazione statale sia indispensabile, lo Stato spesso si comporta come un macro-attore economico immerso nello stesso gioco del “profitto a più non posso” tipico delle aziende private. I meccanismi statali, mal costruiti o mal interpretati, hanno portato una eccessiva burocratizzazione del sistema, e gli interventi nella vita delle persone spesso, e ultimamente in particolar modo, si sono rivelati molto invasivi.

Lo Stato dovrebbe più che altro dare un’organizzazione alla società, e lasciare le persone libere di esprimere sé stesse e di raggiungere l’autosufficienza.

 

IL MODELLO NEOLIBERISTA

Nell’ultimo periodo si sono levate a gran voce critiche al modello neoliberista, inteso come sistema di mercato in cui l’iniziativa privata viene incentivata a scapito dell’intervento dello Stato nell’economia. Modello che, con un approccio basato sulla competizione e sulla massimizzazione del profitto, ha causato, negli anni, una forte disuguaglianza tra le classi sociali e rilevanti danni ambientali.

A guardare bene, il sistema di mercato neoliberista aveva già mostrato in passato le sue debolezze anche nel campo economico, dove Stati fortemente sostenitori del libero mercato erano stati portati ad intervenire per salvare con iniezioni di denaro soggetti economici privati altrimenti costretti al fallimento.

 

CONCLUSIONI

Entrambi i modelli, quello neoliberista e quello interventista, non sembrano predisposti a garantire una equa redistribuzione delle ricchezze e una efficace tutela dell’ambiente, ma rimangono ancorati al paradigma della Crescita.

Quello che ci vorrebbe è, sulla base delle precedenti riflessioni, MENO MERCATO e MENO STATO INTERVENTISTA e NEOLIBERISTA.

 

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