Il culto del corpo

Il culto del corpo – riflessione di Julio García Camarero

Traduzione di Marina Pirulli, MDF Roma

Julio García Camarero

Il corpo va lasciato libero: non dobbiamo castigarlo, né forzarlo per via di tutti i pregiudizi consumistici che ci riempiono il cervello, indotti da un marketing che si pone come primo obiettivo quello di vendere tutto a tutti, di vendere qualsiasi cosa a chiunque, dovunque e a qualunque costo. Per esempio, di vendere la pseudo-necessità del culto del corpo.

E per riuscirci, il produttivismo-consumismo ci inculca nel cervello, come in una lobotomia, l’ossessione consumista e il grande imperativo dittatoriale di “cosa va di moda”, che ha assunto una sacralità di gran lunga maggiore di quella che può avere per un cattolico praticante la messa della domenica o l’osservanza delle feste comandate. Del resto anche il cattolicesimo, in combutta con il produttivismo capitalista e commerciale, tempo fa gridava ai quattro venti messaggi subliminali che sembravano slogan di pubblicità cattolico-capitaliste, come ad esempio “El domingo de ramos el que no estrena se queda sin manos” (“La domenica delle Palme, chi non indossa abiti nuovi resta senza mani”). Io da bambino, nella fame del pieno dopoguerra, quel giorno indossavo sempre qualcosa di nuovo, anche solo un paio di calzini, perché non farlo era considerato un vero e proprio peccato capitale.

Lasciamo che le nostre membra riposino liberamente, senza obbedire ai rigidi ordini del cervello. Al mattino non ci svegliamo mai nella stessa posizione in cui ci eravamo addormentati, perché senza la pressione dei neuroni centrali le braccia, le gambe e il corpo si sistemano come vogliono. Non riduciamo il nostro corpo e la nostra personalità sovrana a una proprietà condizionata dal marketing commerciale e dal pensiero unico, che ci aliena e ci rende consumisti per i propri interessi.

Il mio corpo è mio, ma è comandato dal mio cervello; se il cervello funziona in modo mediocre, tende a fare ciò che ci ordina il sacro potere mediatico. Se seguiamo religiosamente la moda, ci lasciamo rubare la nostra volontà, la nostra mente e il nostro corpo. A quel punto il corpo smette di essere nostro e diventa proprietà del pensiero unico, inserendosi nel flusso potentissimo e quasi infallibile dei mercati e delle merci.

Non permettiamo al nostro cervello e al nostro corpo di lasciarsi comandare da “ciò che si usa”, dagli ordini dittatoriali della moda o da tutte le imposizioni decise dal marketing e dagli intoccabili interessi della crescita oligarchica. Si tratta di un marketing e di una mentalità commerciale che abbiamo assorbito insieme al latte materno, che assoggettano il cervello e lo rendono mediocre. Mediocre.

Il culto del corpo

Il primo attacco sferrato dal marketing, segretamente, consiste nell’idea che nessuno sta bene nel proprio corpo, a volte nemmeno nel proprio genere sessuale. Così si creano complessi di inferiorità, e le menti diventano talmente sottomesse da sentire l’esigenza di cambiare il proprio corpo. È così che il sistema ci inganna fin dalla prima infanzia, attraverso il televisore di casa, la scuola, l’università. Tutte queste informazioni rimangono nel nostro cervello e ci appaiono sacre e intoccabili, proprio come al giorno d’oggi la proprietà privata.

Per questo ci inculcano l’idea che il nostro corpo è “nostro” e dobbiamo difenderlo con le unghie e con i denti; e poiché lo vediamo brutto, ci inculcano l’idea che dobbiamo cambiarlo.

Non voglio che queste parole vengano lette come un mio personale rifiuto dell’estetica; vorrei solo che l’estetica si praticasse in maniera misurata, usando abbellimenti dall’eleganza sobria, un’estetica misurata che spesso può anche assumere un senso dal punto di vista igienico.

Alla fine, però, pare che il marketing abbia vinto la partita, riempiendoci la testa di pregiudizi borghesi assurdi e consumisti che consistono principalmente in pseudo-desideri e che ci portano verso il rifiuto del nostro stesso corpo, a favore di un modello di corpo prefabbricato dal pensiero unico che omogeneizza tutto.

Di conseguenza, ci spingono a credere che abbiamo “bisogno”, in maniera urgente e imprescindibile, di soddisfare tutte quelle pseudo-necessità che avrebbe secondo loro il nostro corpo: una cosmesi eccessiva, per migliorare il nostro aspetto e non essere più così brutti come ci inducono a vederci. Per esempio, il bisogno di comprare abiti nuovi a ogni stagione per indossare “ciò che va di moda”; andare in palestra per dimagrire, perché va di moda essere magri; mangiare light, fino a rasentare l’anoressia, per il terrore dei “bruttissimi” accumuli di grasso.

E pensare che la moda, per sua stessa caratteristica, cambia di continuo: ad esempio nell’epoca barocca di Rubens andava di moda un corpo femminile rotondo, meglio ancora se con i rotolini di grasso, l’esatto contrario della moda attuale che favorisce i corpi anoressici. Insomma, la dittatura della moda ci manovra infallibilmente secondo i suoi capricci, e questo rischia di farci cadere nel peggiore dei mali: l’eccesso.

In poche parole, siamo costantemente infelici perché non ci piace quello che più di ogni altra cosa dovremmo difendere e venerare, ancor più della nostra proprietà privata: la nostra personalità, la persona che siamo, il nostro corpo, e dobbiamo subire un culto del corpo basato sul castigo, non con il cilicio usato un tempo dai cattolici, ma con i digiuni e con un eccessivo, continuo e monotono sforzo fisico compiuto nelle palestre trasformatrici, i “templi” di questo culto del corpo.

Peggio ancora, il marketing ci ha convinti che “avere personalità” consista proprio nel disprezzare e assassinare la nostra personalità, la nostra sovrana indipendenza, sacrificandola alla ferrea dittatura di “ciò che va di moda”.

Al contrario, tuttavia, la nostra autentica personalità sovrana consiste nel non sottomettersi alla religione del marketing secondo cui è peccato non seguire le mode imposte e le tendenze fashion, non indossare “ciò che va di moda” e non conformarsi a una “personalità” programmata. Ciò che ci viene indicato come comportamento corretto è obbedire agli ordini del marketing.

Questo concetto, che riguarda le imposizioni subliminali della moda e del consumismo, può essere riassunto schematicamente nelle seguenti parole:

“La semantica della moda

è come il tamburo

del capitalista

potente

al cui ritmo balla

il consumista

coprendosi di ridicolo”[2].

E pensare che se non ci avessero plasmato il cervello fin dall’infanzia riempiendolo di pseudo-desideri, complessi o sottomissioni al potere mediatico, oggi potremmo godere della felicità di essere noi stessi. Perché non esiste felicità più grande della gioia di essere se stessi, con la propria personalità e indipendenza sovrana.

Concludo con un triste pensiero finale:

Quante persone si vergognano del loro corpo, e quante poche persone si vergognano della loro mente!

Note:

[1] Se letto con poca attenzione, questo articolo può dare l’impressione di un attacco indiscrimato all’estetica e alla cura del corpo; in realtà non si pone affatto contro l’uso di questi mirabili strumenti, ma contro il loro abuso smisurato (che va tanto di moda) e contro l’imposizione del culto del corpo a scapito dell’essere umano e della sua autentica personalità. In breve, si oppone a un culto religioso del corpo che lo metta al di sopra dello spirito e dell’indipendenza personale.

[2] Julio García Camarero, El Decrecimiento infeliz,  La Catarata, 2015, p. 129, Madrid

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