Presentazione a cura di Maria Elena BERTOLI del Circolo MDF di Lucca e membro del Gruppo tematico Economia & Decrescita(*)

Marco Deriu è un sociologo dell’Università di Parma, membro dell’Associazione per la decrescita e dell’Associazione maschile plurale. E’ attualmente impegnato in particolare sul tema del rapporto fra democrazia, ecologia e decrescita.

In questo video potete seguire un suo dialogo col Gruppo di Lavoro tematico Economia e Lavoro di MDF nel quale egli riflette sull’importanza di risignificare il lavoro a partire dal paradigma della cura. Si è scelto di proporre a Deriu il tema del lavoro in quanto esso è un elemento chiave della struttura della nostra economia ed è una possibile leva per l’attuazione del cambiamento necessario di cui intendiamo, come pensatori e attivisti della decrescita, favorire l’avvio.

 

 

La riflessione di Deriu parte dal documento MDF “Visione occupazione e lavoro”. Tale documento ha come centro qualificante la distinzione fra occupazione e lavoro e la necessità di ridefinire il lavoro come quell’attività che crea valore, rispondendo a concrete necessità biologiche, relazionali, economiche, spirituali ecc.

In questo documento, dunque, si opera uno spostamento semantico: infatti oggi si intende per “lavoro” un’attività, quale che sia, purchè sia retribuita. Nella nuova ottica che si propone in questo documento, invece, l’attività retribuita la si chiama “occupazione” mentre col termine “lavoro” si propone di indicare ogni attività che crea valore, retribuita o non retribuita che sia. Nella prospettiva elaborata dal documento MDF, dunque, non è più la retribuzione ciò che dà valore al lavoro ma il fatto di produrre senso e valore, tant’è vero che ci sono lavori retribuiti che non creano valore e lavori non retribuiti che, invece, creando preziosi valori, sarebbero da ritenersi “lavori” a pieno titolo.

 

GRAZIE A DIO SIAMO VULNERABILI

Nel suo discorso Deriu sottolinea il nesso del lavoro con la vulnerabilità della persona: fin dalla nascita il bambino ha bisogno di cure, senza le quali non sopravviverebbe. E così, da subito, attorno alla vita si infittisce la trama dei gesti concreti di attenzione – di “manutenzione”, si potrebbe dire – che mirano a custodirla e rigenerarla. In questo senso il valore prodotto dal lavoro è un valore molto concreto che consiste nel prendersi cura della vita a tutto tondo, sotto il profilo biologico ma anche relazionale, sociale, spirituale….

La nostra vulnerabilità è costitutiva e insuperabile e tuttavia, per Deriu, essa è un elemento positivo perché è proprio la vulnerabilità che ci apre alla relazione, al bisogno dell’altro, anche portandoci finalmente lontano dal mito machista del vero uomo come invulnerabile.

Lavorare vuol dire prenderci cura gli uni degli altri perché “non siamo mai autosufficienti” e questo è emerso con evidenza nel periodo della pandemia che ci ha mostrato in modo molto chiaro quali sono i lavori preziosi per noi e quali invece non sono altro che trastulli per capitalisti – ovvero trucchi per far soldi o per far far soldi a qualcuno che ci dà il lavoro.

 

LAVORI DI MERDA

E’ urgente che la società si interroghi sul senso del lavoro che facciamo. Infatti, per affrontare correttamente il tema del lavoro, non basta che si trovi il modo di creare più posti di lavoro, come chiedono i politici tradizionali. La questione vera è invece quella di capire di che tipo di lavoro stiamo parlando: abbiamo bisogno un lavoro che sia dotato di senso!

Molta della sofferenza del nostro tempo è dovuta al fatto che le persone oggi sono costrette ad accettare lavori degradanti. Si pensi a tutti quei lavori che comportano sfruttamento, fino a ad arrivare a forme di neoschiavitù, oppure a quelli eticamente dubbi (ad esempio, a quei “lavori” che consistono nel dover convincere le persone a comprare merci o servizi, magari inutili o dannosi) o a quelli esplicitamente distruttivi come la produzione di armi oppure inquinanti o devastanti perché basati sull’estrattivismo.

Questi lavori, sottolinea Deriu, sono dannosi non solo in senso ecologico ma nel senso che comportano inevitabilmente un’autosvalutazione del lavoratore, che si vede costretto ad attività insensate o distruttive. Sono quelli che David Graeber chiama bullshit jobs, “lavori di merda”.

 

DIPENDENTI DAL MERCATO

Il lavoro, nel nostro sistema, oltre svilirci nella dignità ci disabilita nella creatività. Deriu, sulla scia di Ivan Illich, ci mostra come l’espansione del mercato ci abbia reso incapaci di svolgere funzioni che, in un’economia non completamente monetizzata, eravamo o saremmo in grado di svolgere autonomamente o comunitariamente. Dice Illich, a questo proposito, che il lavoro mercantilizzato funziona come “monopolio radicale” nel senso che ostacola in mille modi, fino ad arrivare a vietare, tutte quelle pratiche che si pongono al di fuori dei meccanismi di mercato. Siamo insomma costretti dentro la porta stretta del mercato e sei stupido, ridicolo o fuori legge se ti intestardisci a voler mantenere una tua qualche autosufficienza individuale, familiare o comunitaria. Devi invece lavorare, guadagnare denaro e, con quel denaro, comprare tutto – produci, consuma, crepa – salvo poi trovarti molto debole e ricattabile perché hai perso ogni capacità di provvedere a te stesso e sei dipendente dal mercato per il soddisfacimento anche del più minimo bisogno.

E una volta che, completamente risucchiato dal lavoro, hai perso i saperi tradizionali che ti fornivano tantissime abilità, gli apporti comunitari che ti sostenevano e infine l’accesso diretto alla natura, tramite cui potevi provvedere direttamente almeno ad una parte delle tue necessità, allora hai perso la tua capacità di creare, e finisci per appaltare al mercato anche l’inventività, con l’enorme impoverimento umano che questo comporta.

 

TEMPO DI LAVORO

Per quanto riguarda poi i tempi di lavoro, Deriu ritiene che introdurre la riduzione dell’orario di lavoro sia certamente un’ottima strategia. Il lavoro ci ha assorbito sempre di più e, negli ultimi anni, il tempo per il nutrimento, la relazione, il riposo, la convivialità e la riproduzione si è ridotto sempre di più. Ma soprattutto quel tempo di vita non è considerato, non messo a tema, come se non esistessero queste “invarianti umane” – direbbe Panikkar – (come fame, sete, relazionalità, felicità) che le varie culture soddisfano, ciascuna in modo diverso ma che nella società del capitalismo avanzato vengono semplicemente ignorate.

Il mercato del lavoro spinge verso un lavoro H24 ma questo derogare alle nostre necessità di base lede gravemente il nostro equilibrio personale, e diffonde infelicità a piene mani nei nostri contesti di vita. E’ fondamentale riaffermare socialmente questi tempi vitali di ogni persona come confini invalicabili.

 

LE TECNOLOGIE SALVATEMPO

Anche le recentissime tecnologie salvatempo del digitale in realtà dissipano il tempo e, velocizzando incredibilmente i tempi di vita e di lavoro, ci espongono ad una pressione costante. Su questo, per Deriu, è importante prendere posizione come attivisti della decrescita perché, se diventa socialmente accettabile questa accelerazione dei tempi di vita, viene poi a mancare lo spazio entro cui portare avanti le nostre istanze.

 

PER UNA DEMOCRAZIA DELLA CURA

Di fronte a questo disastro che abbiamo creato sulla realtà del lavoro – che corrisponde al disastro del nostro sistema socioeconomico – Deriu, anche seguendo il discorso della studiosa statunitense Joan Tronto, ribadisce l’urgenza di ridisegnare radicalmente il lavoro a partire dal paradigma della cura. L’unico lavoro sensato è il lavoro di cura. Ma questo non lo si deve affermare genericamente e in astratto né è il caso di arrivare a fare del lavoro di cura un nuovo slogan o una nuova bandiera. Sensibilissimo al tema di una nuova democrazia ecologica, su cui sta per pubblicare un suo importante saggio, egli insiste sul fatto che il valore prodotto dal lavoro non è mai dato una volta per tutte ma va sempre ridefinito socialmente nell’ambito di un rinnovato dibattito democratico che ci aiuti anche a definire quali attività di cura svolgere e come dividercele, per riequilibrare i carichi oggi sbilanciati, ad esempio, a sfavore delle donne. Questo processo collettivo di definizione delle responsabilità di cura può portarci ad una rivitalizzazione della democrazia in modo molto concreto ed efficace.

 

I NUOVI SENTIMENTI POLITICI

Abbiamo estremo bisogno, insomma, per Deriu, di una politica capace di interpretare i vissuti e le emozioni del nostro tempo, mettendoli al centro del dialogo democratico. Siamo abituati ad una politica che ha reso pubblicamente accettabili solo sentimenti come paura, competizione, prestigio, potere e dunque siamo divenuti incapaci di interpretare e di dare un senso collettivo ai sentimenti dell’angoscia, della vulnerabilità e del senso di impotenza, così dominanti e forti nel nostro tempo. Questi sentimenti non possono essere affrontati dal singolo come problemi individuali, solo suoi, ma devono assumere valenza collettiva.

 

PER UNA NUOVA NARRAZIONE POLITICA

Per questo vanno articolati all’interno di una narrazione politica che sia all’altezza delle sfide del nostro tempo e che sia in grado di accendere la speranza nelle persone.

Si profilano grandi e gravi cambiamenti, dice Deriu, e abbiamo estremo bisogno di configurare questi cambiamenti anche in chiave politica. Solo attraverso un rinnovamento delle pratiche democratiche possiamo sottrarci all’angoscia generata dai problemi giganteschi che dovremo affrontare e possiamo imparare a rispecchiarci in senso positivo negli altri. Infatti, sottolinea Deriu, le persone sono disposte ad affrontare i cambiamenti e i sacrifici che si rendono necessari se questi vengono proposti nel giusto contesto valoriale e politico.

Se le persone vedono che tutti contribuiscono al cambiamento necessario, che le regole valgono per tutti e che i leader politici sono credibili e degni di fiducia, allora possono accettare i sacrifici necessari. Il dialogo democratico sarà in questo senso indispensabile perché possiamo riconoscere reciprocamente i vincoli non solo fra di noi ma anche con chi verrà dopo di noi.

Se andiamo in questa direzione potremo costruire un mondo vivibile o almeno affrontare in modo umano i cambiamenti non semplici che ci aspettano.

(*) Gruppo Tematico Economia & Decrescita MDF

Il Gruppo Tematico è nato nel giugno 2015 allo scopo di affrontare il rapporto tra Decrescita ed Economia in modo sistematico, sia a livello microeconomico (proposte economiche in ambiti specifici) che a livello macroeconomico (definizione dei parametri che possono caratterizzare uno scenario economico con un impatto ecologico sostenibile).

Unisciti a noi: Chiunque può entrare nel Gruppo Tematico, manifestando il proprio interesse e scrivendo la propria disponibilità all’indirizzo email: info@decrescitafelice.it

Per approfondire: I contributi, i modelli e gli articoli redatti dal Gruppo Tematico Economia & Decrescita MDF sono consultabili in questa sezione del sito

 

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