Un contributo di Bernardo SERVEGNINI membro del Gruppo Economia&Decrescita di MDF(*)

 

Lo sblocco dei licenziamenti è cominciato, molte aziende ne stanno approfittando. Da più parti gli operai, i lavoratori, i sindacati e la società civile provano a reagire. Le ricette che mettono in campo sono a volte creative, a volte innovative, a volte sono la ripetizione di errori strategici del passato.

Uno dei più grandi problemi è quello di trovare un minimo comune denominatore che possa convogliare nella stessa lotta le diverse categorie, i diversi territori, le diverse sensibilità. Una rivendicazione che potrebbe mettere d’accordo tutti è quella del reddito di base universale, cioè la proposta che tutti i residenti in Italia ricevano, in quanto residenti, una somma mensile per il proprio sostentamento, uguale per tutti, indipendentemente dal lavoro svolto, dalla propria condizione economica e da qualsiasi altro eventuale reddito percepito.

A questo proposito è attualmente in corso una raccolta firme, presso l’Unione Europea, per istituire un reddito di base universale (UBI) a livello comunitario. Si può firmare a questo link.

Conquistare il reddito di base vorrebbe dire realizzare una rivoluzione copernicana dei rapporti di forza nel mondo del lavoro, ma non solo: le istanze dei lavoratori, le preoccupazioni riguardo all’ambiente e le rivendicazioni di maggiore giustizia sociale potrebbero trovare un punto di incontro preciso.

Innanzitutto, istituire un reddito di base renderebbe più chiaro il principio che, in un sistema socio-economico in cui hai bisogno di comprare ciò che serve per sopravvivere, il reddito sia un diritto sociale che spetta agli esseri umani in quanto tali. La questione del lavoro a questo punto assumerebbe significati molto diversi: il ricatto occupazionale non esisterebbe più, e non ci sarebbe più bisogno di sindacati, contratti nazionali, ammortizzatori sociali, salari minimi ecc… Tutte queste battaglie sarebbero vinte definitivamente e consegnate alla storia.

Se il reddito di base fosse congruo (e accompagnato dalla gratuità dei servizi di base), le persone che volessero “arrotondare” le proprie entrate potrebbero poi comunque svolgere lavori retribuiti, ma in una dialettica di classe nella quale il coltello dalla parte del manico ce l’avrebbero i lavoratori (con buona pace di Confindustria).

Ma questa misura migliorerebbe di per sè anche la situazione ambientale perchè diminuirebbe la necessità di produrre di più per il solo garantire “posti di lavoro”.  L’UBI sarebbe lo scambio che agisce sul binario del lavoro: verrebbe meno la necessità di lavori retribuiti che immettono nel mercato prodotti inutili, superflui e dannosi, e ci si concentrerebbe su “attività” utili agli individui ed alle loro comunità e non pericolose per l’ambiente.

Alcuni storcono il naso per il fatto che i ricchi prenderebbero la stessa cifra dei poveri, ma bisogna considerare che una tassazione davvero progressiva annullerebbe completamente i vantaggi per i ricchi. Altri temono che sarebbe impossibile trovare le coperture. Come garantire a tutti un reddito di base congruo? Dove si prendono i soldi?

Innanzitutto, bisogna introdurre il concetto di “beni e servizi di base gratuiti”, che è ancora più importante del reddito di base. Un reddito monetario è sempre esposto alla variazione del costo della vita, mentre ciò che garantisce il benessere reale è la possibilità di accesso ai beni e servizi. Se i beni e servizi di base sono fruiti gratuitamente dalla popolazione, ecco che non è più necessario elargire redditi di base particolarmente alti. Come garantire beni e servizi gratuiti alle persone? Come coprire le spese di welfare senza farle pagare ai fruitori? Molto in questo senso può essere fatto attraverso il lavoro civico non retribuito (il lavoro non più inteso come diritto, ma come “dovere civico”) attraverso il quale abbattere significativamente le spese per il welfare (spese che negli anni sono state spesso “gonfiate” proprio per garantire occupazione e posti di lavoro). Ai cittadini, non più soggiogati dalla necessità di farsi sfruttare in azienda per arrivare alla fine del mese, può essere proposto di offrire parte del proprio tempo “liberato” al servizio della propria comunità. Questo convoglierebbe le migliori energie umane non più verso gli interessi di imprenditori senza scrupoli, ma verso attività che farebbero ricadere i propri vantaggi sulla collettività. Certamente una transizione del genere ha bisogno di tempo e volontà politica per essere collaudata, ma i meccanismi portanti possono essere avviati fin da subito.

Ma il lavoro civico non è certo l’unico modo possibile per garantire le coperture per un reddito di base. Molto può essere fatto nell’ambito della tassazione, in senso redistributivo. Ad oggi, ad esempio, il gettito fiscale italiano è composto per il solo 7% dalla tassazione del patrimonio. Questo è vergognoso. Un’altra vergogna è rappresentata dalla fuga di capitali: intervenire su questo aspetto permetterebbe di far rientrare molte risorse nella disponibilità delle classi più bisognose, attraverso l’innalzamento dell’importo del reddito di base. C’è poi da aggiungere che tutti i miliardi attualmente spesi dallo Stato per bonus, incentivi, detrazioni, ammortizzatori sociali ecc. verrebbero anch’essi a confluire nel reddito di base, il cui importo a questo punto comincerebbe ad assumere valori considerevoli.

Si potrebbero poi aggiungere molte altre componenti alla voce “coperture”, come quelle a cui si accennava poco sopra riguardo al risparmio sui costi della burocrazia, oppure riguardo ai vantaggi che progressivamente, attraverso il lavoro civico, si potrebbero ottenere nell’ambito della messa in sicurezza del territorio, risparmiando sulle enormi spese a cui ogni anno lo Stato deve oggi far fronte per rimediare alle sempre più frequenti calamità idrogeologiche.

Un altro aspetto sul quale è il caso di cominciare a mettere mano una volta per tutte, se si vuole andare verso una vera giustizia sociale, è la revisione totale del sistema previdenziale. Forse è lecito sognare un mondo in cui non esistano le pensioni: un mondo in cui gli anziani ricevono, come tutti, il reddito di base, e contribuiscono, come i giovani, al progresso della civiltà, attraverso le mansioni concettuali e relazionali che da sempre, prima della società dei consumi, hanno reso gli anziani una risorsa preziosa e fondamentale per ogni civiltà, mentre nella società di oggi i pensionati sono parcheggiati nella loro inutilità in attesa che la loro morte alleggerisca la spesa previdenziale dello Stato… Anche questa “riforma delle pensioni” è un progetto a lungo termine, ma nessun traguardo si raggiunge se non ci si comincia a incamminare nella direzione di quel traguardo.

E nel caso in cui le risorse per un reddito di base universale non fossero ancora sufficienti, si potrebbe sempre stampare moneta. Il Covid (ma ancor prima il salvataggio delle banche) ha dimostrato che è possibile. L’inflazione che ne deriverebbe potrebbe essere contenuta attraverso politiche fiscali davvero progressive e redistributive. Ma per rendere efficace questo meccanismo occorre recuperare la sovranità monetaria, restituendo alle istituzioni democratiche la piena facoltà di decidere le politiche. Questo principio dovrebbe poter essere sancito anche alla scala locale, attraverso, preferibilmente, dei sistemi di monete complementari sotto il controllo democratico delle comunità locali, pur mantenendo il necessario coordinamento tra le diverse scale, dal locale al nazionale al comunitario.

Insomma, istituire un reddito di base universale sarebbe una misura all’insegna della giustizia sociale, in grado di sostenere la dignità delle classi più bisognose e al contempo rivoluzionare le dinamiche del mondo del lavoro, emancipando i lavoratori dallo sfruttamento e dal ricatto occupazionale e orientando la produzione verso soluzioni più utili e sostenibili. Una misura strategica (anche se non risolutiva) verso l’obiettivo della decrescita felice, e soprattutto una misura fattibile, se soltanto ci fosse la volontà politica di realizzarla.

(*) Gruppo Tematico Economia & Decrescita MDF

Il Gruppo Tematico è nato nel giugno 2015 allo scopo di affrontare il rapporto tra Decrescita ed Economia in modo sistematico, sia a livello microeconomico (proposte economiche in ambiti specifici) che a livello macroeconomico (definizione dei parametri che possono caratterizzare uno scenario economico con un impatto ecologico sostenibile).

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Per approfondire: I contributi, i modelli e gli articoli redatti dal Gruppo Tematico Economia & Decrescita MDF sono consultabili in questa sezione del sito

2 thoughts on “Un reddito di base per affrontare i problemi del lavoro”

  1. Buongiorno, Seguo da qualche anno l’MDF come simpatizzante in quanto sono sostenitore della cura della Vita (in generale) che porta poi ad una cura verso tutto quanto ci circonda, dalla casa, alle persone, alla natura…
    Mi è sempre piaciuta l’affermazione che il PIL non sia affatto un indicatore di benessere per tutto ciò che esclude (dalla gestione dei rifiuti, dalla coltivazione casalinga, dall’autoproduzione, …).
    Non sono affatto d’accordo con questo articolo, non credo che una visione comunistica del problema del reddito possa portare beneficio alla società, anzi mi pare che il reddito di cittadinanza stia favorendo esclusivamente il lassismo, l’apatia, il lavoro in nero, l’opportunismo nelle persone che già avrebbero bisogno di uno sprone per migliorare la qualità della vita.
    Mi stupisco che l’MDF sostenga questo genere di ipotesi e provvedimenti, io non li trovo affatto sostenibili: nè per l’ambiente, nè per la società e tanto meno per la salute delle persone.

  2. La proposta contenuta nell’articolo, che comunque non è la “posizione ufficiale di MDF” non mi pare abbia nulla a che vedere con il “reddito di cittadinanza all’italiana” attualmente vigente.

    Qui si propone una ampia riflessione circa l’attuale (e soprattutto futura) difficoltà a portare avanti un modello socio-economico centrato sul (o meglio dipendente dal) lavoro retribuito. Per il semplice motivo che questo tipo di lavoro non si può “crearlo” se non aumentando produzioni e consumi.
    Difficoltà che potrebbe essere superata con un Reddito di Base Universale ed Incondizionato, mera estensione dei Servizi di Base Universali e Gratuiti, che rimuova il RICATTO OCCUPAZIONALE che consente al (se non costringe il) sistema di avere un “esercito di riserva” sempre più ampio e fatto di pezzenti che non arrivano a fine mese, usato come carne da macello da un “esercito di professionisti” sempre più superpagati.

    E’ chiaro, ma ciò è detto molto bene nell’articolo, che si tratta di una prima, rivoluzionaria, mossa per minare alla base il sistema attuale e gettare le basi per una società centrata invece sulla cura. Cura che deve essere realizzata col contributo di tutti e di ciascuno. Contributo che si concretizza in un LAVORO completamente diverso e, sicuramente, non retribuito.

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