Un contributo di Elena Bertoli (MDF Lucca) e Mario Sassi (MDF Roma), membri del Gruppo Economia&Decrescita(*)

E’ partita da poco una “iniziativa dei cittadini europei” per vietare la pubblicità e le sponsorizzazioni dei combustibili fossili (e dei mezzi di trasporto da essi alimentati) nell’Unione Europea: Qui il link alla petizione e qui una presentazione in italiano della petizione.

Come Movimento Decrescita Felice promuoviamo questa iniziativa e lavoriamo per farla conoscere qui in Italia. Vogliamo invitare tutti a sottoscriverla  e a diffonderla il più possibile (l’adesione può essere fatta solo a livello individuale, essendo appunto una “iniziativa dei cittadini europei”). 

Questa petizione ci pare infatti essere il primo timido passo verso un’auspicata, drastica limitazione di ogni pubblicità: insieme a molti altri studiosi e analisti, ma anche attivisti, movimenti ecc., riteniamo infatti che limitare la pubblicità sia una delle misure politiche indispensabili per realizzare l’obiettivo prioritario e irrinunciabile di riportare la nostra economia (abnorme ed estremamente diseguale) entro i limiti biofisici del pianeta. Per i motivi che spieghiamo in questo articolo, è assolutamente necessario che le economie dei paesi ricchi diminuiscano il loro utilizzo di risorse e di energia, e questo non per portare le persone a fare la fame ma proprio per cominciare a vivere bene o comunque meglio di come stiamo ora (oltre che per prevenire catastrofi future). L’attuale industria della pubblicità infatti, oggi, stimola tutta quella fiera di produzioni e consumi inutili e dannosi che appesantisce le nostre vite generando contemporaneamente sprechi assurdi e insostenibili di cui profitta solo la minoranza ricca o straricca.

Numerosi studi (ma piuttosto sottaciuti) dimostrano che la pubblicità genera nelle persone un malessere diffuso e pervasivo, svolgendo un ruolo centrale nel definire i comportamenti e i valori dell’attuale società consumistica, iniqua ed insostenibile.

Un’inchiesta condotta negli anni ‘90 in USA ha rilevato che il 90% degli A.D. riteneva impossibile vendere un nuovo prodotto senza pubblicità, l’85% che la pubblicità spesso persuade persone a comprare cose di cui non hanno bisogno ed il 51% che la pubblicità induce persone a comprare cose che in realtà non desidera. (J. Hickel, “Siamo ancora in tempo”, pag.195). In un’altra ricerca sviluppata dall’Università di Warwick con dati di 27 paesi europei dal 1980 al 2011, si è visto che, nei paesi nei quali si spende di più in pubblicità, le persone sono più infelici e afflitte da un vuoto di senso (anche perché le loro attività lavorative e le loro produzioni spesso sono effettivamente insensate quando non vanno a minare il bene comune). Qui potete trovare la nostra traduzione di una intervista al prof. Oswald autore della ricerca.

Sono davvero grandi i disastri culturali e psicologici provocati dalla pubblicità!

Ed essa oggi è così pervasiva ed è penetrata così a fondo nella nostra vita personale e sociale da costituire ormai un sottofondo, quasi una colonna sonora delle nostre vite (lo dice Latouche in un suo libro). Stimolando i consumi, essa mette in scena questa farsa di falso benessere, uno squallido benessere di plastica, riflesso nei sorrisi tirati dei protagonisti degli spot. La mega industria pubblicitaria tiene in piedi la nostra tristissima società della crescita nella quale il valore e lo stato sociale delle persone si definisce sulla base dei loro consumi, in una infinita gara a posizionarsi più in alto possibile nella piramide dei consumi, gara da cui non esce fuori nessun vincitore felice ma solo miriadi di perdenti perennemente insoddisfatti. La pubblicità, infatti, confonde i bisogni umani (naturali, definibili e soddisfacibili) con i desideri (artificiali, infiniti e mai soddisfacibili, perché dipendono solo dal confronto con gli altri): questo crea una situazione in cui “la competizione posizionale improduttiva aumenta il throughput materiale e crea disagio psicologico e malessere sociale” (Jackson pag. 235).

Ma la cosa tragicomica è che tutto questo sforzo di Sisifo comporta un incredibile spreco di risorse ed energie a scapito del nostro povero pianeta, enormemente stressato. Anche per questo la pubblicità va abolita al più presto se vogliamo riuscire transitare verso modelli postcapitalisti prima che il sistema ci schianti contro i limiti ecologici del nostro pianeta.

E comunque, anche al di là delle motivazioni sociologiche e psicologiche, è da considerare anche il fatto che quando la manipolazione raggiunge livelli così eclatanti (ogni giorno un italiano medio è sottoposto a …. “suggerimenti” pubblicitari) si pone un problema etico che consiste nella continua lesione che viene fatta alla dignità umana e alla libertà personale.

Ecco perché, nel percorso verso la sua completa abolizione, chiediamo che, fin da ora, vengano posti limiti precisi alla pubblicità, tra i quali, ad esempio:

  1. il divieto di pubblicità nei luoghi pubblici (come già sperimentato da numerose città, da San Paolo a Grenoble), nei media (o almeno alcuni canali) pubblici e per prodotti particolarmente dannosi per l’ambiente e/o le persone (es. usa e getta, credito al consumo, viaggi aerei, ecc.);
  2. limitazioni alle pubblicità in altri “luoghi” (es. altri canali radio/TV e/o programmi informativi) e per alcuni target (es. bambini sotto una certa età);
  3. una tassazione progressiva dei budget pubblicitari in base al fatturato ed al volume pubblicitario dell’inserzionista;
  4. una severa regolamentazione dell’uso dei dati personali, degli algoritmi e delle profilature a fini pubblicitari;
  5. l’istituzione di un “Gran Giurì” per verificare la veridicità e la fattualità della pubblicità e il suo contenuto informativo e non (solo?) propagandistico;
  6. una maggiore regolamentazione delle pratiche commerciali (per ridurre il potere delle multinazionali di produzione e distribuzione);

E, sia chiaro, dire no alla pubblicità non vuol dire solo abolire i classici spot in televisione o nelle pagine sui giornali, ma anche tutte le forme di sponsorizzazioni, PR, patrocini commerciali, ecc., sia nel mondo fisico che in quello virtuale (come già applicato, ad esempio, per il fumo ed in misura minore per giochi e scommesse).

Alle pubblicità stimolo dei consumi, a cui siamo abituati, proponiamo di sostituire attività di comunicazione contro il consumismo e a favore di prodotti e stili di vita più equi e sostenibili (es. sufficienza, condivisione, autoproduzione, ecc.), che costruiscano un senso di comunità e valori reali (e non artificiali o indotti) e/o verso “forme d’arte”.

 Il re è nudo. Quando passeremo alle nuove forme di organizzazione economico sociali della post crescita abbandoneremo tutti i tormentoni pubblicitari stimolatori della crescita dei consumi perché non ci serviranno più.

Tuttavia, fin da oggi, l’invito è quello di aderire a questa campagna europea per cassare le pubblicità dell’estremamente dannoso: i combustibili fossili e tutto ciò che viene alimentato con essi. Qui sotto potete trovare dei materiali già predisposti da Greenpeace e dagli organizzatori della campagna e facilmente utilizzabili per diffondere l’iniziativa:

Un grazie a chi vorrà collaborare!

 

(*) Gruppo Economia & Decrescita MDF

Il Gruppo Tematico è nato nel giugno 2015 allo scopo di affrontare il rapporto tra Decrescita ed Economia in modo sistematico, sia a livello microeconomico (proposte economiche in ambiti specifici) che a livello macroeconomico (definizione dei parametri che possono caratterizzare uno scenario economico con un impatto ecologico sostenibile).

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