Traduzione di Mario Sassi (del circolo di Roma) e commento a cura di Ellison Paolista, membri del Gruppo Economia & Decrescita MDF (*)

Qui di seguito la traduzione di un interessante articolo di Thomas Bauwens che sintetizza, in pochi ma significativi passaggi, i principi che stanno alla base dell’economia circolare, individuandone limiti e opportunità. Questo nuovo modello economico, che è l’unica alternativa possibile all’economia lineare, che ha portato alle conseguenze ambientali e sociali alle quali assistiamo, deve essere perseguito dalle imprese per permettere alle nostre società ed economie di rientrare nei  limiti dei confini planetari (planetary bounderies), uno fra tutti il riscaldamento globale (si veda il VI rapporto dell’IPCC).

L’economia circolare deve dunque intendersi non come un nuovo modo per crescere, ma un insieme di approcci innovativi alla produzione messa al servizio della qualità della vita delle persone, in un quadro complessivo di decrescita. In questo modello, come descritto anche nell’articolo, i prodotti devono essere progettati per durare a lungo e consentirne la riparazione, il riuso deve essere preferito al riciclo, la fornitura di un servizio deve sostituire la vendita (es. aspirapolveri condominiali), gli imballaggi devono essere ridotti drasticamente preferendo lo sfuso, le materie prime seconde (o end of waste) devono sostituire il reperimento di materie prime dall’ecosfera al fine di ridurre i rifiuti. Attenzione: ridurre, non azzerare. Per il secondo principio della termodinamica, infatti, non è realizzabile l’obiettivo “zero waste” (rifiuti zero). L’unico obiettivo realizzabile è “zero avoidable waste”, cioè non produrre rifiuti “evitabili”. Con l’economia circolare potremmo nel lungo periodo puntare alle “zero estrazioni”, facendo ricorso alle materie prime offerte dalla tecnosfera.

L’autore, in chiusura dell’articolo, auspica che gli Stati intervengano normativamente per disciplinare l’economia circolare nei termini descritti. Forse in Italia ci stiamo arrivando. Il Ministero della Transizione Ecologica, lo scorso 30 settembre, ha infatti avviato una consultazione pubblica volta a raccogliere contributi in merito alla “Strategia nazionale per l’economia circolare” che dovrà essere approvata entro giugno 2022 (https://www.mite.gov.it/pagina/economia-circolare ). La nuova strategia comprenderà le seguenti misure:

  • un nuovo sistema digitale di tracciabilità dei rifiuti che possa consentire, da un lato, lo sviluppo di un mercato delle materie prime seconde, dall’altro il controllo e la prevenzione di fenomeni di gestione illecita dei rifiuti;
  • lo sviluppo di sistemi di incentivazione fiscale per supportare l’utilizzo di materiali derivanti dalle filiere del riciclo;
  • una revisione del sistema di tassazione per rendere il riciclo più conveniente dello smaltimento in discarica;
  • la promozione del diritto al riuso e alla riparazione;
  • la riforma dei sistemi di EPR (Extended Producer Responsibility) e dei Consorzi per supportare il raggiungimento degli obiettivi comunitari;
  • il rafforzamento degli strumenti normativi esistenti (legislazione End of Waste, Criteri Ambientali Minimi) e l’applicazione di detti strumenti a settori strategici: costruzioni, tessile, plastiche, RAEE;
  • il supporto allo sviluppo di progetti di simbiosi industriale, anche attraverso strumenti normativi e finanziari.

Qui il documento del MISE in consultazione. Abbiamo tempo fino al 30 novembre 2021 per proporre i nostri contributi!

Buona lettura.

 

L’economia circolare e la crescita economica sono compatibili? Argomentazioni per una circolarità post-crescita (di Thomas Bauwens)

 

L’economia circolare è spesso annunciata come una panacea che permetterà una crescita verde (cioè, disaccoppiando la crescita economica dagli impatti ecologici associati alle attività economiche). Mentre l’economia circolare è un argomento popolare nelle agende politiche di molti paesi, un corpo in espansione di prove empiriche mostra che, finora, gli aumenti del prodotto interno lordo (PIL) globale sono stati strettamente accoppiati con un aumento delle dimensioni dell’impronta materiale e degli impatti ecologici associati dell’economia (Hickel e Kallis, 2019). Il disaccoppiamento assoluto globale della crescita del PIL e del consumo di risorse (cioè un calo dell’impronta materiale globale in termini assoluti mentre il PIL globale continua ad aumentare), una condizione necessaria per la crescita verde, è ancora lontano dalla realtà (vedi Fig. 1).

 

Fig. 1. Global evolution of GDP and material footprint. Source: United Nations Environment Programme, World Bank.

Un’economia veramente circolare è compatibile con la crescita economica? Ci sono, io sostengo, due principali percorsi possibili: persistere nel tentativo di conciliare l’economia circolare con la crescita economica o adottare un approccio post-crescita all’economia circolare. Questa prospettiva analizza questi due percorsi e sostiene che solo il secondo è probabile che sia un’opzione praticabile.

 

Per quanto riguarda il primo percorso, l’attuale mancanza di disaccoppiamento assoluto non preclude, in linea di principio, che esso possa verificarsi in futuro, ad esempio a causa di scoperte tecnologiche o dell’adozione su larga scala di strategie circolari (Hickel e Kallis, 2019). Quindi, in teoria, sembra valga la pena tentare di conciliare un’economia circolare con la crescita economica. Per determinare se un tale sforzo potrebbe avere successo, vale la pena considerare l’economia circolare rispetto ai vari modelli proposti da Geissdoerfer et al. (2018): restringere, rallentare, chiudere, smaterializzare e intensificare i loop materiali.

Restringere i loop, o efficienza delle risorse, comporta l’utilizzo di meno risorse nella produzione di beni e servizi. Rallentare i cicli implica l’estensione della fase d’uso dei prodotti, per esempio attraverso progetti di lunga durata e operazioni di manutenzione. La chiusura dei cicli si concentra sul riciclaggio dei materiali. La dematerializzazione dei cicli si concentra sulla fornitura di servizi e soluzioni software come sostituti dei prodotti fisici (per esempio, il prodotto come servizio), mentre l’intensificazione dei cicli comporta la condivisione dei prodotti tra più consumatori (per esempio, il car-sharing).

La maggior parte di queste strategie costa denaro e quindi ha un impatto negativo sui margini di profitto delle aziende.

Chiudere i cicli, per esempio, richiede alle aziende di sostenere il costo del riciclaggio dei materiali, mentre rallentare i cicli richiede loro di offrire servizi di riparazione e manutenzione. Lo stesso vale per la dematerializzazione e l’intensificazione dei cicli: rendere i prodotti ultra-durevoli da affittare, noleggiare o condividere tra più consumatori riduce il fatturato, poiché un numero significativamente inferiore di prodotti deve essere venduto per soddisfare le esigenze dei consumatori. Così, queste strategie vanno direttamente contro il sistema attuale che si basa su una crescita economica perpetua e spinge le aziende a comprimere i costi e massimizzare i profitti degli azionisti. Infatti, in un’economia basata sulla crescita, le aziende che applicano strategie di modelli di business circolari sono rapidamente superate nei prezzi e spinte fuori dal mercato da concorrenti più economici e non circolari.

L’uso della strategia del “restringere i loop” (o efficienza delle risorse), tuttavia, rappresenta un’eccezione, in quanto sembra andare di pari passo con la redditività; infatti, molte aziende oggi usano miglioramenti nell’efficienza delle risorse per ridurre i loro costi. Tuttavia, questi miglioramenti non sembrano tradursi in una riduzione (dell’impatto) materiale complessivo, in quanto, in un’economia basata sulla crescita, spesso portano al cosiddetto effetto rimbalzo (cioè la parziale o completa compensazione dei guadagni ambientali legati ai miglioramenti di efficienza con un aumento del numero di prodotti fabbricati e consumati; Hickel e Kallis, 2019).

Si può rispondere che questo impatto negativo sulla redditività e sulla crescita delle imprese può essere mitigato dalle opportunità di business offerte dai modelli di business circolari. Ad esempio, il calo delle entrate legate alla vendita dei prodotti può essere assorbito adottando un modello di business product-as-a-service (cioè vendendo la funzionalità dei beni piuttosto che la loro proprietà; Geissdoerfer et al., 2018). Allo stesso modo, i costi aggiuntivi sostenuti dalle aziende per fornire servizi di riparazione e manutenzione e prodotti di lunga durata e per garantire che i materiali siano riciclati possono essere coperti da prezzi più alti.

 

Mentre queste affermazioni sono vere in una certa misura, questi modelli hanno delle limitazioni intrinseche. Il premium pricing è limitato ai clienti di fascia alta che hanno i mezzi economici per permettersi prodotti costosi e di alta qualità, il che limita il potenziale di crescita di questo modello a mercati di nicchia e pone anche un problema di accessibilità dei prodotti (Khmara e Kronenberg, 2018). Argomentazioni simili valgono per i modelli di business product-as-a-service, in quanto i canoni per il leasing o il noleggio dei prodotti dovrebbero coprire i costi di proprietà dei prodotti fisici sostenuti dalle aziende (costi relativi al design duraturo, alle operazioni di manutenzione, alle soluzioni di fine vita, ecc.)

Per livellare il campo di gioco, i governi potrebbero promuovere un’economia circolare implementando politiche come la richiesta di una piena responsabilità del produttore e un’accurata determinazione dei prezzi delle esternalità ambientali (Smeets et al., 2021).

In questo modo, le aziende che implementano strategie di economia circolare avrebbero un vantaggio competitivo temporaneo e crescerebbero a spese delle aziende che non lo fanno. Tuttavia, questo contesto politico sarebbe incompatibile con un’economia in continua crescita, proprio perché queste strategie sono costose e finirebbero per soffocare i profitti delle aziende (Smeets et al., 2021). Inoltre, questo problema peggiorerebbe nel tempo: ad esempio, per quanto riguarda il riciclaggio, i materiali si degradano ogni volta che vengono riciclati a causa dell’entropia, il che si traduce in input energetici sempre maggiori e quindi in costi sempre maggiori per mantenerne la qualità (Allwood, 2014).

Così, un’economia circolare rimarrà probabilmente un mero sogno irrealizzabile fino a quando l’imperativo della crescita guiderà l’economia. Questo non vuol dire, però, che il concetto di economia circolare debba essere abbandonato: al contrario, da un punto di vista ambientale, è fondamentale perseguirlo e promuoverlo. Tuttavia, tentare di creare un’economia circolare mantenendo una crescita perpetua è probabilmente una sfida insormontabile; invece, potrebbe essere necessario un approccio post-crescita all’economia circolare.

Per quanto riguarda questo secondo percorso, definisco un’era post-crescita come quella in cui gli obiettivi macroeconomici sono riorientati verso un equo ridimensionamento della produzione e del consumo e il miglioramento del benessere (vedi anche Schneider et al., 2010). Questo non significa che le imprese non avrebbero alcun ruolo da svolgere in un’economia e in una società post-crescita, poiché alcune di esse  dovrebbero addirittura sperimentare selettivamente alcune forme di crescita. Tuttavia, un’economia e una società post-crescita comporterebbero una profonda revisione del significato stesso di fare business, che dovrebbe essere riconsiderato intorno ai valori di cooperazione, cura, condivisione, comunità e solidarietà – invece di fare profitto per accumulare capitale.

Le imprese post-crescita dovrebbero abbracciare i principi di durata, efficienza e frugalità che sono al centro dell’economia circolare (Khmara e Kronenberg, 2018).

Tuttavia, dovrebbero anche andare oltre, sforzandosi attivamente di massimizzare il benessere sia degli esseri umani che della vita non umana (Nesterova, 2020) attraverso non solo la creazione di posti di lavoro, ma anche la costruzione e la responsabilizzazione e potenziamento delle comunità, e la considerazione per la vita non umana e il suo benessere. Questo può essere fatto, per esempio, adottando una proprietà comunitaria o cooperativa caratterizzata dalla partecipazione democratica al processo decisionale e da un’equa redistribuzione del surplus economico (Bauwens et al., 2016). Mantenere le operazioni aziendali su piccola scala e localizzate per servire principalmente i bisogni delle comunità locali (Bauwens et al., 2020), ridurre l’orario di lavoro e tagliare la pubblicità sono altri modi per raggiungere questi obiettivi di benessere.

Queste misure a livello aziendale dovrebbero essere incoraggiate a livello macroeconomico da politiche appropriate, che includono, ma non si limitano a, abbandonare la cieca ricerca dell’espansione del PIL e ridefinire la misurazione della performance macroeconomica sulla base di indicatori di benessere sociale e forte sostenibilità ambientale, vietando l’obsolescenza programmata e rendendo i produttori pienamente responsabili del fine vita dei loro prodotti. In sintesi, un approccio post-crescita alla circolarità dovrebbe riguardare l’abolizione dell’imperativo della crescita economica e la riconversione dei cicli materiali al servizio del benessere degli esseri umani e non.

Bibliografia

Allwood, 2014. J. Allwood: Squaring the Circular Economy: The Role of Recycling within a Hierarchy of Material Management Strategies E. Worrell, M. Reuter (Eds.), Handbook of Recycling, Elsevier, Boston (2014), pp. 445-477

Bauwens et al., 2016. T. Bauwens, B. Gotchev, L. Holstenkamp: What drives the development of community energy in Europe? The case of wind power cooperatives. Energy Res. Soc. Sci., 13 (2016), pp. 136-147, 10.1016/j.erss.2015.12.016.

Bauwens et al., 2020. T Bauwens, M Hekkert, J Kirchherr: Circular futures: What Will They Look Like?Ecol. Econ., 175 (2020), pp. 1-14, 10.1016/j.ecolecon.2020.106703

Geissdoerfer et al., 2018. M. Geissdoerfer, S.N. Morioka, M.M. de Carvalho, S. Evans: Business models and supply chains for the circular economy. J. Cleaner Prod., 190 (2018), pp. 712-721, 10.1016/j.jclepro.2018.04.159

Hickel and Kallis, 2019. J. Hickel, G. Kallis: Is green growth possible?New Politic. Econ., 25 (4) (2019), pp. 469-486, 10.1080/13563467.2019.1598964

Khmara and Kronenberg, 2018. Y. Khmara, J. Kronenberg: Degrowth in business: an oxymoron or a viable business model for sustainability? J. Cleaner Prod., 177 (2018), pp. 721-731, 10.1016/j.jclepro.2017.12.182

Nesterova, 2020. I. Nesterova: Degrowth business framework: implications for sustainable development. J. Cleaner Prod., 262 (2020), Article 121382, 10.1016/j.jclepro.2020.121382

Schneider et al., 2010. F. Schneider, G. Kallis, J. Martinez-Alier: Crisis or opportunity? Economic degrowth for social equity and ecological sustainability. Introduction to this special issue. J. Clean. Prod. Growth Recession Degrowth Sustain. Equity?, 18 (2010), pp. 511-518, 10.1016/j.jclepro.2010.01.014

Smeets et al., 2021. B. Smeets, G. Schellekens, T. Bauwens, H. Wilting: What’s the Damage? Monetizing the Environmental Externalities of the Dutch Economy and Its Supply Chain (De Nederlandsche Bank Working Paper No. 79). De Nederlandsche Bank, Amsterdam (2021)

Ward et al., 2016. J.D. Ward, P.C. Sutton, A.D. Werner, R. Costanza, S.H. Mohr, C.T. Simmons: Is decoupling GDP growth from environmental impact possible? PLoS One, 11 (2016), Article e0164733, 10.1371/journal.pone.0164733

© 2021 The Author(s). Published by Elsevier B.V.

 

(*) Gruppo Economia & Decrescita MDF

Il Gruppo Tematico è nato nel giugno 2015 allo scopo di affrontare il rapporto tra Decrescita ed Economia in modo sistematico, sia a livello microeconomico (proposte economiche in ambiti specifici) che a livello macroeconomico (definizione dei parametri che possono caratterizzare uno scenario economico con un impatto ecologico sostenibile).

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4 thoughts on “Un approccio Post-Crescita all’Economia Circolare”

  1. Carissimi,
    senza rendervi conto, state diffondendo idee “tossiche”.
    L’unico modo per diminuire l’impronta ecologica consiste nel trasferire in ambito auto-produttivo, dapprima privato, multi-famigliare (mutualistico) quanto possibile, cominciando dai beni e servizi di prima necessità (agroalimentare ma anche servizi alle persone e alle cose).
    In tale contesto non ha senso incoraggiare la parsimonia con la politica in quanto fa parte integrante del paradigma.
    Quello che non è possibile auto-produrre rimarrà nell’eteronomia (produzione per terzi, essenzialmente nel mercato).
    Ma la politica dovrà incoraggiare la diffusione del sistema partecipativo al posto di quello salariale (aumentando, in tal modo, la responsabilità socio-ambientale delle imprese).
    L’ auto-produzione pubblica dovrà comunque essere estesa al di là dei servizi collettivi (indivisibili) di sua competenza, e comprendere comparti strategici e di pubblica utilità.

  2. Non comprendo cosa ci sarebbe di “tossico” nell’articolo, visto che tu stesso, Dino, dici che “Quello che non è possibile auto-produrre rimarrà nell’eteronomia (produzione per terzi, essenzialmente nel mercato).”

    Nell’articolo ci si riferisce proprio a questa parte dell’economia, quella -pur poca e probabilmente sempre più ridotta- che sarà comunque necessario produrre in modo eteronimo.

    1. Caro Nello,
      se ricordo bene il contenuto dell’articolo, mi sembra che le soluzioni ai vari problemi, tipici dell’Eteronomia, prescindessero tutte dall’Autonomia sulla quale converrebbe invece contare, nella misura del possibile.
      Non conviene contare su soluzioni politiche per correggere gli inconvenienti dell’Eteronomia, altrimenti si dà l’impressione (che ho qualificato di “tossica”, ma credo che ora ci siamo capiti e siamo d’accordo) che non esista che il Mercato.
      Una volta coperto lo spazio in cui l’Autonomia è viabile, cosa che non dipende per niente dalla politica, la società sarà pronta per attuare riforme che necessitano l’azione politica (nazionalizzazioni di settori strategici, cioè passaggio all’Autonomia pubblica) o, quanto meno, passaggio al sistema partecipativo al posto di quello salariale per un maggiore responsabilità socio-ambientale delle imprese del contesto Eteronomo (mercato).
      Un cordiale saluto
      Dino

  3. Si, ora ci siamo capiti.

    Spero proprio che tu abbia ragione e che il raggiungimento dell’obiettivo di “coprire lo spazio dell’Autonomia” possa essere raggiunto prima della (ed essere quindi leva e strumento propedeutico alla) riforma dell’economia di mercato.

    Io sono un po’ meno ottimista e quindi intravedo nella economia circolare (intesa come la propone Hickel) una forma “più dolce” per avviare il cambiamento.

    O forse, come peraltro proposto in altri articoli di questo sito, si dovrebbero intraprendere tutte le iniziative e percorrere tutte le strade contemporaneamente.

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