Un contributo di Nello DE PADOVA, coordinatore del Gruppo Economia&Decrescita di MDF

Da poche settimane è uscito un nuovo libro di Paolo Ermani dal titolo L’Italia verso le emissioni ZERO.

Chi come me conosce l’associazione PAEA, il sito IL CAMBIAMENTO, o l’UFFICIO DI SCOLLOCAMENTO, si sarà forse domandato se fosse necessario scrivere questo libro. Tutti i suoi contenuti si trovano, sparsi in vario modo, in quei siti e nelle iniziative portate avanti da Paolo Ermani ed il suo staff in quei contesti.

Ma proprio per questo credo che Paolo abbia fatto bene a riunire tutto in un solo posto mettendo bene in ordine una serie di esperienze, pratiche, idee e consigli utili per i singoli e – soprattutto – le comunità affinché finalmente in tutta Italia si realizzi un mondo nuovo equo, sostenibile e sereno.

Ermani in questo libro non parla di decrescita, suggerisce come metterla in pratica. Stimolando chi già si adopera come singolo ad unirsi ad altri sul proprio territorio per avviare il cambiamento necessario.

Cambiamento che non si limita e non si deve limitare ai propri stili di vita e di consumo ma deve incidere nella cultura e nelle coscienze di tutti e di ciascuno incidendo sulla vita e gli stili di consumo delle comunità di appartenenza. Siano queste quelle che popolano un condominio, una strada, un quartiere, un borgo e poi in cerchi sempre più larghi a seconda delle “politiche” da implementare.

Non me ne vorrà l’autore (e l’editore) se riporto qui di seguito ampi stralci della parte del libro dedicata a questo concetto intitolata “La fondamentale importanza della ricostruzione del concetto di comunità” evidenziando (il grassetto è mio) i passaggi più salienti:

La situazione in cui ci troviamo, e che si aggraverà sempre di più se non invertiamo la rotta, è dovuta in gran parte al sistematico smantellamento della comunità in tutte le sue forme e i suoi aspetti positivi. Ciò è avvenuto con l’obiettivo di trasformarci esclusivamente in “consumatori”: più si dividono e si allontanano le persone fra di loro e più le si possono facilmente manovrare e indurre a comprare instillando in loro bisogni indotti. Se l’obiettivo e la “religione” unica professata sono quelli che pensano solo all’aumento del Prodotto Interno Lordo, è evidente che non si concepisce altro che il consumo e per far sì che le persone consumino si deve fare in modo che dedichino la maggior parte del tempo a lavorare per poi poter acquistare, e che siano preferibilmente isolate. E così è avvenuta la nostra evoluzione o, per meglio dire, involuzione.

Dalle famiglie allargate e dall’aiuto reciproco, spesso praticato nelle nostre campagne fino agli anni Sessanta e Settanta, si è passati a un aumento costante di famiglie sempre meno numerose e isolate e soprattutto a tantissimi single. Ci sono dati impressionanti in città come Milano, Roma, Berlino, dove i single arrivano quasi alla metà dei residenti. Si tratta del paradosso dei paradossi: la città che si vuole e si dipinge come piena di vita e di persone, è sì piena ma di persone sole.

Nel quadro consumista disegnato dagli apostoli del PIL, il single è il consumatore perfetto, deve comprarsi e pagarsi tutto, non condivide nulla e spende quindi mediamente tanto, oltre che sprecare tanto. E più ci si isola nel proprio regno dorato del consumo, più i venditori brindano, il PIL si alza e ovviamente l’ambiente agonizza. Ma non agonizza solo l’ambiente:

anche le relazioni sociali si sgretolano, sono ridotte all’osso e spesso relegate alle gite ai centri commerciali, per poi arrivare all’apice dell’assurdo dove nemmeno si esce più per acquistare dato che si può fare tutto comodamente a casa propria cliccando su qualche dispositivo digitale; passa cioè il messaggio che per le relazioni basta la connessione giusta, non serve nemmeno più incontrarsi.

[…OMISSIS…]

Anni di lotte per ottenere diritti minimi vengono resi vani da un veloce e costante sgretolamento del concetto di comunità, intesa anche come salvaguardia proprio di quei diritti ritenuti fondamentali. Se siamo tutti soli o in famiglie sempre più ridotte, dove non si conosce nemmeno il vicino di casa e se lo si conosce ci è pure antipatico, altro che diritti collettivi o lotte sociali!

[…OMISSIS…]

Il concetto di comunità ha perso qualsiasi significato, anzi è diventato una parodia, una presa in giro con l’uso che ne fanno i social, dove di comunità non c’è nulla e c’è solo l’aggregazione di consumatori dai quali ottenere ogni possibile dato per vendere loro qualsiasi cosa.

In una simile situazione, proprio il recupero dell’autentico concetto di comunità è la chiave di volta per riappropriarsi di molti aspetti positivi andati perduti.

Non è necessario ovviamente ritornare alle famiglie allargate e patriarcali di una volta, ma occorre comunque recuperare quanto di buono c’era allora, il senso di comunità appunto, l’aiuto reciproco, le relazioni, l’appartenenza al luogo, e alla terra se si tratta di realtà rurali. Bisogna riscoprire la saggezza antica all’interno di una nuova concezione di ecovicinato, cioè una rete di relazioni e scambi fra persone di uno stesso territorio che si basino su presupposti diversi da quelli del consumo e quindi dello spreco. In questo modo si ricostruisce il vero welfare state che è quello appunto del rafforzamento della comunità.

[…OMISSIS…]

Aumenta anche il senso di solidarietà e supporto in momenti difficili, per cui di fronte alle avversità non ci si sente soli e perduti. Avere un sostegno di persone amiche e vicine anche nelle difficoltà è fondamentale e impagabile. Quindi, da una situazione del genere trae beneficio il nostro stato psicofisico, riducendo anche il bisogno di farmaci e di visite mediche.

Tutto questo, inoltre, fa sì che si abbia meno necessità di soldi per acquistare merci o pagare servizi, quindi di conseguenza ci sarà meno bisogno di lavorare. Il tempo viene così “liberato”, non si è costretti a dedicarlo tutto al lavoro, lo si può dedicare ai nostri interessi, ai nostri cari, alla cultura, alle relazioni e in tal modo possiamo affrancarci dell’affannosa e stressante corsa all’acquisto di tutto quello che ci dicono sia assolutamente necessario e non lo è affatto.

[…OMISSIS…]

Va recuperato il vero senso di convivialità, di cui si stanno perdendo pure le tracce, non più legata al consumo o all’acquisto di qualcosa ma al piacere dello stare assieme.

Creare relazioni e legami forti nel luogo dove si vive concorre ad avere anche meno spostamenti inutili per andare chissà dove, quando quello che cerchiamo lo possiamo avere a portata di mano. Dove ci si conosce e ci si aiuta si creano relazioni forti e durature che contano molto di più che l’ultimo gadget o vestito alla moda.”

Il Covid ci ha fatto sentire la mancanza della comunità, questo libro aiuta a capire perché ci è mancata, ed i vantaggi che potranno derivare al benessere di ciascuno nel ricostruirla.

Ma soprattutto indica la strada da percorrere per ricostruirla senza aspettare che sia la politica o l’amministrazione comunale a realizzare i centri di aggregazione in cui riparare colletivamente gli oggetti, piuttosto che costituire le comunità energetiche che consentono a tutti di autoprodursi l’energia di cui si abbisogna o riappropriarsi collettivamente di terreni incolti per farne orti comuni da coltivare collettivamente e convivialmente, anche al fine di prepararsi a probabili blocchi delle catene di approvvigionamento di cibo, acqua ed energia. Cose di cui purtroppo abbiamo già avuto le prime avvisaglie.

Che poi questo processo sia di fondamentale importanza per garantire le condizioni climatiche ed ambientali necessarie alla nostra vita è un dettaglio non di poco conto!

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