Di Karl Krähmer, membro del Direttivo MDF e dottorando al DIST, dipartimento di studi del territorio di Università e Politecnico di Torino.

 

Sono attualmente in Cile per il mio dottorato. Sto indagando la geografia delle relazioni commerciali globali della frutta prodotta lì per tutto il mondo. La mia domanda centrale è che cosa se ne può imparare per sviluppare strategie di decrescita a molteplici scale (e non solo a quella locale). Vi racconto qui, in maniera informale, spontanea e poco metodica, alcune mie osservazioni, più o meno legate alla mia ricerca che spero possano interessare a chi legge questo sito.

Ho già raccontato della comunità Mapuche di Tralcao, vicino a Valdivia, e delle ciliegie che produce per la Cina. Una produzione, dicevo, inserita nel contesto della globalizzazione ma non estrattivista. Allo stesso tempo Tralcao, insieme ad altre comunità Mapuche della regione e tutto l’equilibrio ecologico del territorio sono affette da un’altra economia di esportazione, questa sì estrattiva: la produzione di legno e cellulosa. Una grande azienda forestale, l’Arauco, è arrivata sul territorio nel 2004 costruendo una fabbrica di cellulosa. E, con la connivenza e il supporto dello stato cileno, produce grandi danni ecologici e sociali al territorio. Questo conflitto non cercavo di studiarlo – ero venuto per le ciliegie – ma è così forte e presente nel territorio che non potevo non ascoltare le storie su questo tema. E alla fine l’ho visto e sentito raccontare da molti aspetti e mi fa piacere raccontarli, riassumendo quello che le persone tra Tralcao e Valdivia generosamente hanno raccontato a me.

Il primo problema è la trasformazione di ampie porzioni del territorio in sterili piantagioni di eucalipto e pino. Queste piantagioni, boschi solo nell’apparenza superficiale, sono povere di vita e consumano moltissima acqua. In questo modo contribuiscono nella regione alla crisi idrica che riguarda tutto il Cile da circa un decennio. Crisi che, aldilà dell’oggettiva riduzione delle precipitazioni dovuta alla crisi climatica, è intrecciata con il modello neoliberale di proprietà di fatto privata e separata della terra dell’acqua, senza priorità del consumo umano diretto e di una mancanza di controllo della quantità della sua estrazione. Questo è un tema fondamentale nel processo di elaborazione della nuova costituzione, che, si spera, dovrebbe cambiare questo stato delle cose.

Oltre a ridurre la disponibilità dell’acqua, le fabbriche della forestale, l’inquinano, portando alla riduzione dell’avifauna nella grande area umida per la tutela della quale si impegnano anche le comunità Mapuche, insieme a molti altri soggetti, nell’Asociaciòn Comunidad Humedal Rio Cruces.

Foto: Karl Krahmer

Quest’associazione è nata da un conflitto legale con l’Arauco, vinta dal movimento sociale, mi racconta José Arraya, segretario generale dell’associazione. Gli stessi Mapuche che, tra le altre cose, esportano ciliegie in Cina. Questa vittoria legale, in cui è stato dimostrato che l’inquinamento aveva provocato una moria di cigni, ha portato a un grande pagamento di risarcimenti alla comunità locale. Per calcolare il risarcimento la presenza delle piantagioni di ciliegie fu importante perché con queste c’erano molti documenti economici sulla base dei quali si potevano stimare i danni. La distribuzione dei fondi di risarcimento viene in parte amministrata dall’associazione secondo un piano strategico elaborato in un processo partecipativo con gli abitanti del territorio. Piano che prevede, per esempio, la promozione di un turismo dolce in barca e la valorizzazione di prodotti agricoli locali come il sidro di mele.

Oltre a questo, l’Arauco è coinvolta anche in conflitti sulla proprietà della terra. Così mi hanno raccontato Michela Bravo e Juan Antonio Naupajante della comunità Mapuche di Pon Pon, già affetta dalla costruzione dell’autostrada principale che attraversa il paese, fatta passare, senza che fossero consultati, davanti alle loro case, e separandoli anche dalla fonte d’acqua dove abbeveravano le loro pecore. Questa comunità possiede un “titulo de merced”, titoli di proprietà della terra che furono assegnati ai Mapuche nell’800 per stabilire la loro proprietà a pezzi di terra. In seguito poi, questi titoli furono in molti casi violati con l’arrivo di coloni europei, entrando così, illegalmente, nelle mani di altri. In questo modo una parte della terra della comunità Mapuche entrò in possesso della stressa Arauco che recentemente ha venduto questa terra a un’altra comunità Mapuche, senza informarla di questi precedenti. Pare che l’idea sia quella di creare conflitto tra le comunità Mapuche, per indebolire la loro resistenza alle attività dell’Arauco.

Foto: Karl Krahmer

Ho anche avuto occasione di parlare con un collettivo del vicino paese di Corral che si sta opponendo alla costruzione di un possibile nuovo porto industriale, a fianco di una struttura esistente per esportare chip di legno. Questo porto (il progetto al momento è fermo) dovrebbe servire all’esportazione alla Cina di chip di legno proveniente dall’economia forestale della regione, oltre all’esportazione di prodotti minerari. È parte di un ampio programma di grandi opere infrastrutturali in Sudamerica, chiamato IIRSA, che è stato criticato per favorire le dinamiche estrattiviste nelle economie sudamericane. Le attiviste del collettivo sono preoccupate per gli impatti che questo progetto potrebbe avere sull’economia locale della loro comunità – la costruzione di un porto industriale ne danneggerebbe i due settori fondamentali: il turismo e  la pesca artigianale, già indebolita dalla concurrenza della pesca industriale, non regolamentata.

Questi conflitti si possono leggere come parte di una resistenza contro un’economia estrattivista orientata alla crescita infinita, cieca alle sue conseguenze spesso nefaste. Infatti le ragazze del collettivo Corral Sin Puerto Industrial erano molto interessate alle idee della decrescita e mi raccontavano che gli argomenti per giustificare il progetto del porto sono i soliti: progresso, sviluppo, posti di lavoro.

Il bello di questa storia dai tanti lati bui è che dimostra il potenziale dei movimenti sociali. Soprattutto nella lotta per la tutela dell’area umida. Per quanto questa battaglia non sia riuscita (finora) a cambiare radicalmente il sistema economico regionale e molte aree nella regione sono sempre dedicate a piantagioni devastanti e la fabbrica continui a funzionare, anche i successi sono notevoli: i risarcimenti che hanno portato a un piano per supportare economia e comunità locali; ma anche a un ritardo se non al blocco dei piani di ampliamento della fabbrica e un contributo importante per una legge nazionale per la tutela delle aree umide urbane in Cile. Oltre a forgiare relazioni locali forti tra comunità attorno a questa lotta e fare di Valdivia una delle città con più consapevolezza ecologica in Cile, secondo José Arraya.

Nonostante le mille difficoltà, è valsa quindi la pena impegnarsi.

 

 

 

Se volete, potete contattarmi qui: karl.kraehmer@polito.it

 

 

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