Riceviamo e con piacere pubblichiamo questo documento scritto da Giorgia Bertolin, una giovane studentessa che segue il nostro sito.

Ci riempie di gioia scoprire che i contenuti che pubblichiamo possano essere di aiuto a chi, docenti e discenti, nelle scuole affrontano temi economici e sociali evidenziando i limiti del nostro sistema ed impegnandosi a realizzarne uno migliore. Non fosse altro che perchè quel sistema è quello in cui svolgeranno la gran parte della loro vita.

Come tutti ben sappiamo il tipo di economia che è maggiormente diffuso oggi è il capitalismo.

Il capitalismo basa il suo concetto di benessere sul livello di produzione e di consumo. 

Sviluppato soprattutto in Occidente, è protagonista di un’evoluzione senza precedenti e illimitata; tale sviluppo, non è nemmeno più soggetto al controllo dell’uomo. 

Questo tipo di economia viene chiamata lineare, perché le fasi principali secondo cui si sviluppa sono: produzione, consumo, buttare via. Oggi per la situazione politico- economica presente non possiamo assolutamente permetterci questo tipo di andamento.

L’importante domanda che dobbiamo porci è: ‘Il capitalismo determina la nostra felicità?’ ‘Possiamo valutare il nostro livello di felicità dal consumo del gas quando siamo fermi nel traffico? (Serge Latouche)’ La risposta deve essere no.

Per questo motivo si è venuta a creare una soluzione alternativa, chiamata ‘decrescita felice’. Lo studioso Latouche spiega come il PIL non è l’unico parametro da tener conto per valutare il benessere di un qualsiasi stato. 

Anche l’economista Amartya Sen aveva già riflettuto su come la ricchezza sta nelle capabilities, cioè in quelle capacità personali che servono per raggiungere una qualità della vita adeguata. Non bisogna quindi guardare solo al livello del PIL, perché il benessere di uno stato è dato anche dal livello della salute, dal tasso di alfabetizzazione e di scolarizzazione, dalla qualità della vita, dal rispetto dei diritti, dal tempo libero… La ‘decrescita felice’ o ‘bioeconomia felice’ quindi si sposta verso un benessere autentico per le persone, un appagamento da rivedere nel sistema intero. Tale cambiamento lo si può ottenere solamente mettendo un freno alla crescita economica, in poche parole alla produzione e al consumo. Ci si deve indirizzare verso un’economia sostenibile e circolare, le cui principali fasi di sviluppo sono: produzione, consumo, riutilizzo. L’uomo deve aprire gli occhi e prendere coscienza del fatto che questo tipo di economia ha cambiato irreparabilmente il mondo, influenzando gli aspetti della vita di tutti i giorni dell’uomo. Dall’economia alla politica, dalla cultura alla sfera sociale, dallo stato di salute al livello di povertà, tutto è stato intaccato dal capitalismo. E il capitalismo è stato influenzato a sua volta dall’avvento della globalizzazione, dall’avanzamento dell’intelligenza artificiale e dall’efficienza dei trasporti.

Il capitalismo e la globalizzazione hanno cambiato per sempre la nostra società, che lo studioso Bauman definisce ‘liquida’. Liquida perché flessibile e instabile, e nell’insicurezza ci si aggrappa ai consumi, l’acquisto dei prodotti equivale all’acquisto di identità. I consumatori di oggi quindi sono incalliti e omologati, perché il consumo crea omologazione, che risulta un’ancora di salvezza per l’esistenza. L’uomo è dipendente dal capitalismo e dal movimento continuo del mercato, per questo lo stesso Bauman spiega come l’uomo dovrebbe riprendere il controllo della politica unendosi con gli altri stati e formare degli spazi transnazionali, attraverso i quali con l’operato collettivo è possibile arrivare al ristabilimento del potere politico ed economico dei singoli paesi. Non esiste più una casa distinta, il mondo è diventato casa, per questo ci deve essere una presa di responsabilità dei problemi, una condivisione di problemi.

La ‘bioeconomia felice’ non è regressione, è simbolo di una soluzione fattibile che potrebbe mettere uno stop a tutti alle difficoltà staturenti dal capitalismo; tra queste vediamo: l’aumento del divario tra ricchi e poveri (pauperizzazione di Marx), lo sfruttamento del lavoro, con la delocalizzazione e con la mancanza di garanzie, il mancato raggiungimento di alcune zone del mondo, come il continente africano, che è rimasto indietro, l’inquinamento ambientale e lo sfruttamento delle risorse naturali e così via… 

Per contrastare in particolare quest’ultimo aspetto negativo è possibile fare riferimento al ‘No New Global’, movimento originariamente nato come ‘No Global’, nel ‘92 a Seattle, il quale critica alcuni aspetti della globalizzazione, il primo fra tutti è il tipo di economia, il capitalismo delle multinazionali, che sfrutta e impoverisce l’ecosistema intero. 

In sintesi deve cambiare la coscienza delle singole persone, l’unica alternativa è assumere un atteggiamento diverso, un comportamento critico e solidale; in questo modo le persone si sentono in grado di contribuire in primis nel risolvere i problemi quotidiani e in secondo luogo formando questa coscienza globalizzata le persone si sentono parte di una cittadinanza globale.

Grazie Giorgia, da tutto il gruppo comunicazione del Movimento per la Decrescita Felice

Image by Pexels from Pixabay

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