In piena Settimana Europea per la Riduzione dei Rifiuti (SERR), campagna internazionale promossa dalla Commissione Europea, ecco che si avvicina inesorabile il giorno che ne rappresenta l’antitesi: il Black Friday. Un’usanza che arriva direttamente dagli Stati Uniti che prevede incredibili sconti, offerte speciali, gara all’acquisto e montagne di soldi spesi per lo più in grandi negozi e siti di e-commerce, aperti 24 ore su 24, riforniti di qualsiasi merce. Come ogni anno questo evento si appresta a registrare numeri da capogiro. Anche se la data ufficiale è il 26 novembre le offerte, vere o fasulle che siano, coprono l’intero arco della settimana. Il Black Friday è accompagnato dal Cyber Monday, iniziativa analoga ma dedicata ai prodotti di elettronica prevista per il lunedì successivo. Le vendite di questo Black Friday dovrebbero diminuire a causa della crisi del costo della vita. Tuttavia, i numeri sono impressionanti: nel 2021, 88 milioni di consumatori hanno effettuato acquisti online, mentre nel 2020 le vendite avevano raggiunto il livello record di 9 miliardi di dollari. La “cultura dell’iper sconto” spinge i marchi a produrre più merce di quella che servirebbe, perché scommettono che saranno in grado di farcela comprare con queste giornate promozionali.

Ma quanti di questi acquisti sono realmente necessari? Davvero pochi. Il Black Friday non fa che incentivare gli acquisti compulsivi che generano patologie diffuse come la dipendenza dallo shopping: la gioia dell’acquisto viene subito superata da una nuova insoddisfazione, dalla smania di comprare di nuovo. Decenni di strategie di marketing ci sussurrano di spendere ancora, soprattutto in questa giornata; questo non fa altro che incentivare lo spreco: indumenti indossati per meno di una stagione vengono cestinati senza motivo, la corsa al saldo, allo sconto e all’acquisto online è ormai abitudine diffusa.

A questa filosofia ben si adeguano le tante industrie di fast fashion che negli ultimi anni stanno nascendo come funghi: prima fra tutte il colosso Shein che propone capi a prezzi bassissimi, quasi come le condizioni di lavoro dei suoi dipendenti. Infatti, ciò che è emerso dall’investigazione realizzata dalla reporter Iman Amrani “Untold: Inside the Shein Machine” è sconcertante: la manodopera del marchio lavora fino a 18 ore al giorno per cucire almeno 500 capi, per una paga mensile di circa 4000 yuan, (intorno ai 550 euro) che equivale a 4 centesimi per ogni indumento cucito. Relazioni inique, sfruttamento e violazione dei diritti sono causa di una crescente sproporzione tra prezzi e valore reale dei beni e chi ci guadagna è sempre il marchio che si appropria di oltre il 60% del prezzo finale.

L’impossibilità di competere con questi ritmi ha costretto tantissime piccole e medie imprese a chiudere; basti pensare che in Italia circa 300 piccole librerie hanno chiuso bottega nello stesso tempo in cui l’e-commerce ha macinato un più 10% di fatturato. Le conseguenze sociali ed economiche sono tragiche, soprattutto per un Paese come l’Italia che vive ancora di piccola e media impresa: non si parla solo di qualità del lavoro o soddisfazione professionale ma anche di estetica territoriale e cura dell’ambiente.

Un altro fattore imprescindibile è infatti l’impatto ambientale: basti pensare che per produrre un paio di jeans vengono utilizzati oltre 7mila litri di acqua e che più del 60% delle fibre dei tessuti che compriamo da queste catene sono sintetiche, cioè derivano da combustibili fossili. Ma ciò che impatta maggiormente sull’ambiente è l’utilizzo di pesticidi che inquinano i fiumi e i terreni vicini alle fabbriche o l’applicazione di coloranti tossici per tingere i tessuti. Anche gli involucri utilizzati per confezionare i capi sono difficili da smaltire e producono una grandissima quantità di plastica: ogni anno finiscono in mare 12 milioni di tonnellate di plastica utilizzata per gli imballaggi. Il Black Friday è dannoso anche per il clima: secondo i dati raccolti da Waste Managed, quest’anno gli acquisti online durante il Black Friday potrebbero provocare l’emissione di 430 mila tonnellate di gas serra. In pratica come 430 voli fra Londra e New York. L’80% degli acquisti fatti durante il Black Friday finisce poi in discarica, viene incenerito o riciclato in modo errato. Ciò si traduce in un  aumento del 25% dei rifiuti solo negli Stati Uniti nel periodo che intercorre tra il Black Friday e la fine dell’anno.

E allora perché non rispondere al black con il boicottaggio? Perché non rendere questa giornata un’opportunità per essere liberi dai bisogni indotti, dagli sprechi e dal consumo fine a se stesso? Il rifiuto di acquistare merci che non sono necessarie e danneggiano il pianeta è una scelta ponderata, fatta per proteggere la nostra serenità.

Venerdì scegliamo di stare meglio! Scegliamo con consapevolezza a chi dare i nostri soldi, scegliamo di investire nel piccolo e nel locale, di finanziare economie locali, ecosostenibili, che fanno prosperare il nostro territorio e creano benessere per la comunità in cui viviamo. Con la nostra spesa facciamo politica, tutti i giorni. Tutti i giorni, con i nostri acquisti, scegliamo in che mondo e in che modo vogliamo vivere.

 

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