Come promesso, questa volta vi racconterò un po’ di quel che succede tutti i giorni al Neema.
Comincio ad ambientarmi nella “giungla” e per ora, come potrete capire, ho sempre attraversato la strada con successo! Arrivo così di prima mattina in ospedale, un “chai” (il the con il latte che bevono tutti qui) insieme agli altri medici nella “doctor room” e poi parto insieme al Dott. Njogu.

Njogu è il direttore sanitario del Neema: piccoletto, sulla cinquantina, un bel sorriso, gli occhietti vispi e il passo pimpante. E’ kenyano, ma parla bene l’italiano perchè ha studiato medicina nel nostro paese grazie a una borsa di studio di World Friends. In questi primi giorni lo affianco: devo infatti imparare bene come funzionano le cose qui in Kenya prima di poter fare qualcosa, altrimenti rischio di combinare un sacco di pasticci!

Dopo aver visto qualche paziente in ambulatorio ci chiamano dalla “casualty”, il pronto soccorso, perché c’è un’urgenza. Con passo incalzante ci dirigiamo sul posto. Entriamo e veniamo subito braccati dai famigliari che ci accompagnano dalla paziente. Cominciano a parlare con Njogu; io provo a capire qualcosa, ma ben presto vi rinuncio; d’altronde sarebbe come pretendere di leggere il sanscrito! Si aprono le tende e dietro, sdraiata sul letto, ecco che appare la ragazza. Avrà 26 anni, longilinea, un bel viso, accasciato però su un lato con gli occhi che traspaiono appena dalla fessura fra le due palpebre e la bocca semiaperta da cui esce una schiuma di un colore bianco-rosa. Il volto è completamente privo di espressione, a parte forse una sottile smorfia di dolore. Si direbbe un vegetale, uno di quei pazienti in coma vegetativo permanente.

Mentre i parenti continuano a parlare affannosamente, la visitiamo. E’ completamente andata. Le pupille sono reagenti, ma non risponde a nessuno stimolo: la chiamiamo, urliamo, le scuotiamo la testa, ma niente! Mille ipotesi diagnostiche cominciano a balenarmi nella testa, una più grave dell’altra. Penso: “Cacchio, poveretta, questa è spacciata! Avrà si e no la mia età…”. Testiamo il dolore. Le pizzico il trapezio dolcemente (quel muscolo che dal collo va sino alla spalla, dove tipicamente si fanno i massaggi), ma niente. Pinzo allora con più energia, ma nessuna risposta! Stringo quindi con tutta la mia forza il muscolo per qualche secondo, ma lei non fa una mossa, non si muove neanche di un millimetro. Gli sollevo allora la mano che, appena lasciata la presa, ricade pesantemente sul letto, come un sasso. L’infermiere mi spiega che il punto più sensibile per valutare la risposta al dolore (molto importante nella valutazione di questi casi) è il capezzolo. Si avvicina e lo stringe con forza. I miei occhi si stringono empaticamente in una smorfia di compassione, ma nulla! Non una piega. E’ in coma profondo! I parametri vitali sono stabili, ma lei non c’è, non è qui con noi.

Nel frattempo la storia si fa più chiara, intuiamo dal racconto dei pazienti che potrebbe trattarsi di una crisi epilettica. Stava camminando in casa, quando ad un certo punto si è irrigidita, è caduta a terra e ha cominciato a muovere convulsamente gli arti. Ora si trova nella cosiddetta fase post-critica. Non c’è da preoccuparsi: dormirà qualche ora, poi si sveglierà con un bel mal di testa ed andrà a casa. Tiriamo quindi un respiro di sollievo e torniamo al nostro lavoro.

Il caso m’intriga, sono curioso e, passata un’oretta, torno a dare un’occhiata alla paziente. E’ ancora in coma. Una mezz’ora dopo però, quando torniamo in casualty per vedere un altro paziente, apro la tenda per dare una sbirciatina e trovo il letto vuoto! Mi dicono che si è svegliata ed è tornata a casa. Che strano, penso! Non credevo che ci si potesse riprendere cosi velocemente da un coma tanto profondo. Beh, buon per lei!

La mattina dopo però ci richiamano dalla casualty ed assistiamo alla stessa scena. La ragazza, Margaret, è di nuovo in coma con la bava alla bocca. Che sfortuna penso, un’altra crisi epilettica! Con calma questa volta comincio a visitarla e, ad un attento esame neurologico, mi rendo conto che c’è qualcosa che non torna. La mandibola è serrata con una forza quasi disumana, mentre le braccia e le gambe sono flosce: se le lascio andare cadono a peso morto, ma ogni tanto sento qualche piccola contrazione di accompagnamento.

Possibile che simuli? Impossibile. Per sincerarmene ancora una volta le stringo nuovamente il trapezio con vigore, ma niente! Incredulo, sarei quasi tentato di stringerle il capezzolo come aveva fatto l’infermiere il giorno prima, ma non me la sento e pizzico quindi nuovamente il collo con tutta la mia forza. Non un battito di ciglio!

Parlando bene con i parenti e consci di quello che era successo il giorno precedente, capiamo che probabilmente non si tratta di crisi epilettiche, ma di una forma di Isteria, più precisamente un Disturbo di Conversione.

La crisi anche questa volta c’è stata, ma non è stata generata da un focolaio epilettico, da una scarica elettrica nel cervello. E’ psicogena, ovvero è causata dalla psiche, dalla mente della paziente stessa, a sua insaputa. Alla base di tutto ciò vi è un disagio emotivo, un conflitto intrapsichico che, invece di essere analizzato alla luce della coscienza, si “converte” in un sintomo somatico, ovvero trova la sua via di sfogo attraverso il corpo. Inoltre vi è spesso in questi casi quello che si chiama in gergo “vantaggio secondario”, ovvero queste persone attraverso queste crisi superano dei momenti di difficoltà, oppure comunicano ai propri cari il proprio disagio e il conseguente bisogno di aiuto (per esempio potrebbe esservi una crisi prima di un compito in classe, o all’inizio di una lite con il proprio marito).

Il fatto è che tutto ciò avviene inconsciamente! Margaret, dal momento in cui è caduta a terra non c’era già più ed una parte del suo cervello ha operato durante tutto quel tempo a sua insaputa. Chissà quali problemi l’avranno spinta a sviluppare una reazione del genere. Magari lavorava in fabbrica dieci ore al giorno e semplicemente non ce la faceva più a tirare avanti, però non poteva dirlo a se stessa e a chi le stava accanto, non poteva prendersi una settimana di ferie e ha tirato avanti fino a quando il suo corpo le si è rivoltato contro in quella maniera. Magari è stata obbligata a sposarsi con un uomo che non ama, ha appena scoperto di essere incinta ed è lacerata dal pensiero di questa creatura che non sente come sua. Magari ha perso i genitori quando era ancora piccola perchè malati di AIDS (molto comune), oppure ha subito qualche violenza quando era ancora piccola. Qualsiasi cosa fosse, lei non era in grado di esprimerla a parole e l’ha detta così, a suo modo e a sua insaputa, con quei movimenti convulsi della gambe e delle braccia.

Casi come questo non costituiscono una rarità e sono abbastanza comuni qui in Africa. Purtroppo spesso vengono interpretati da molte persone come fossero dei capricci, dei “rompiballe” come direbbero molti medici anche dalle nostre parti. Ho chiesto ad un infermiere cosa ne pensasse e mi ha risposto che era convinto che la ragazze simulasse! Probabilmente non era quello che gli aveva stretto il capezzolo…
Farò lo psichiatra e di certo non sottovaluto il potere della mente, ma certe cose un conto è studiarle all’università ed un altro è trovarsele davanti agli occhi. Mi immaginavo che queste persone potessero inconsciamente cadere a terra, dibattersi, urlare in preda ai loro conflitti inconsci, però raggiungere un coma così profondo e non reagire minimamente neanche ad uno stimolo doloroso che farebbe saltare in aria un moribondo, non l’avrei mai immaginato e stentavo a crederci con lei lì davanti.

Pensate che a volte si verificano addirittura degli episodi di “isteria di massa”! Trecento o più persone, fino a quel momento sane di mente, che d’un tratto “impazziscono”, cominciano a correre senza una meta per ore, danzano per giorni senza sosta o magari si grattano in continuazione, vedono demoni, le immagini dei propri antenati, si mordono l’un l’altro. Recentemente (Febbraio 2009) nel Nord dell’Uganda, nella scuola di Layamo, ben 60 ragazzi hanno cominciato uno dopo l’altro a correre selvaggiamente, urlare, mordersi l’un altro e picchiarsi con dei bastoni, sotto lo sguardo incredulo dei propri insegnanti!

Sono cose che si studiano sui libri: il nostro caso corrisponde proprio alla “grande crisi isterica” descritta da Charcot all’inizio del Novecento. Sono documentati nel nostro passato anche casi di “isteria di massa”: per esempio nel 1374 in Francia, nella valle del Reno, dove un centinaio di persone si misero a ballare senza sosta per giorni, in alcuni casi addirittura settimane, senza pause per mangiare o dormire!

Un tempo questi disturbi erano comuni anche nelle nostre società occidentali, mentre al giorno d’oggi sono pressoché scomparsi. Vi sono infatti delle forti componenti culturali alla base di questa modalità di espressione del proprio disagio (oltre all’influenza di fattori socio-economici e di eventuali eventi traumatici). Molti sostengono quindi che sia stato il progresso scientifico e culturale ad aver messo fine a questo tipo di patologie che persistono invece ancora in società più arretrate, che si trovano ancora ad uno stadio di sviluppo che noi abbiamo superato ormai da un centinaio di anni.

Questo ragionamento, che contiene in parte degli elementi di verità, misconosce però profondamente il peso di alcune differenze culturali che solo un antropocentrismo cieco potrebbe scambiare per arretratezza. D’altronde non saprei poi quanto si possa definire “progresso”, sviluppo, una ragazzina che a 17 anni, per assomigliare a qualche modella o per esprimere la propria sofferenza, “sceglie” di non mangiare più ed arriva a pesare 30 kg…

Tornando alla nostra Margaret, dopo averla lasciata continuavo a pensare a lei, a cosa poteva esserci dietro a tutto ciò, che tipo di problemi personali, sociali, economici, potevano averla portata sino a quel punto. Avrei proprio voluto provare a parlarci un po’, cercare di capirla e provare in qualche modo ad aiutarla.

Circa una mezz’oretta dopo, però, quando sono tornato per vedere come stava, gli infermieri mi hanno detto che era tornata a casa, allegra e sorridente, canticchiando! Probabilmente non ricorderà nulla dell’accaduto, a parte forse uno strano dolore al collo, di cui magari si lamenterà con i famigliari. E questi penseranno: “ Uff, un’altra magagna, tanto è tutto psicologico!..?”

Fonte: www.world-friends.it

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