Il Gruppo Transizione, sulla base di una analoga proposta del Degrowth UK Network, ha elaborato questo manifesto per stimolare una riflessione della politica istituzionale su cosa veramente occorrerebbe fare per affrontare con la necessaria determinazione la Transizione verso una società più giusta che garantisca un benessere equo a tutti gli umani (e non solo) entro i limiti planetari.

Per adesioni o informazioni o altro, potete scrivere a transizione.decrescita@gmail.com

Il manifesto è disponibile QUI in formato opuscolo per la stampa fronte-retro in A4 per essere distribuito a chiunque sia interessato.

 

 

Oltre la crescita: come l’Italia e l’Europa possono affrontare la crisi ecologica e sociale

Un documento del Gruppo Transizione, sulla base di una analoga proposta del Degrowth UK Network1

Premessa

La scena politica italiana ed europea è caratterizzata dalla sempre più evidente incapacità di affrontare in modo coerente e globale le tre principali crisi (tutte interconnesse) che l’Europa e l’umanità si trovano ad affrontare :

  • La crisi ecologica, che ha nel riscaldamento globale solo la manifestazione più evidente;

  • La crisi sociale, che colpisce i mezzi di sussistenza e crea una società sempre più disuguale e polarizzata;

  • La crisi bellica, generata da conflitti economici, interimperiali, interstatuali, interculturali, di proprietà e di classe, che alimenta sempre più guerre, conflitti e sopraffazioni.

Per le prossime elezioni europee tutti i partiti cercheranno di superarsi a vicenda affermando come garantire la sicurezza e il benessere attraverso la crescita economica e faranno anche affermazioni su come affrontare la crisi climatica, sempre grazie alla crescita. Gli altri sfondamenti dei “confini planetari” (estinzione delle specie viventi, acidificazione degli oceani, rottura del ciclo del fosforo e dell’azoto, crisi idrica, inquinamento atmosferico, ecc.) probabilmente saranno appena menzionati. Insisteranno anche nell’affermazione altamente discutibile secondo cui la crescita risolverà le disuguaglianze e la povertà. Insomma tutti i principali partiti si atterranno al mantra insensato della crescita del PIL e del progresso tecnologico, testardamente convinti che questo sia il solo modo possibile per risolvere i molteplici problemi dei loro paesi dell’Europa fino a sostenere (per fortuna non tutti) che è necessaria anche per finanziare il riarmo indispensabile per garantire la sicurezza interna e gli interessi europei nel mondo.

Noi invece sosteniamo, sulla base delle evidenze empiriche (crisi ecologica e sociale) non più occultabili, nonché da un’ampia letteratura scientifica, che la fede nella crescita economica (su cui si basano le varie proposte di “sviluppo sostenibile”, “crescita verde” e simili), nella tecnologia e nell’esclusivo bene-avere materiale sono le causa principali di queste crisi, strettamente interconnesse. Sono infatti oggi ben dimostrate sia la relazione tra crescita economica e disgregazione ecologica, sia l’impossibilità di “disaccoppiare” il PIL dagli impatti ecologici2, attraverso una crescita “verde”, sia il fatto che la crescita economica non porta alla diminuzione della povertà e delle disuguaglianze, né tantomeno a quella della violenza.

Alla luce di queste evidenze, sempre più spesso si levano voci che invocano il passaggio a strategie di post-crescita e decrescita. Già il rapporto speciale dell’IPCC del 2018 indicava che, in assenza di nuove tecnologie (ad oggi del tutto ipotetiche), l’unico modo per limitare l’aumento delle temperature è che le nazioni ad alto reddito rallentino rapidamente il ritmo della produzione e del consumo di materiali. La riduzione del flusso di materiali contrae la domanda di energia, cosa che rende più facile realizzare una rapida transizione alle rinnovabili, aiuta ad affrontare il riscaldamento globale e riduce la pressione sugli altri confini planetari.

Questo approccio è ciò che va sotto il nome di decrescita che può essere definita, oltre che «una decolonizzazione dell’immaginario e l’implementazione di altri mondi possibili»3, anche «una riduzione pianificata della produzione di energia e risorse progettata per riportare l’economia in equilibrio con il mondo vivente in un modo che riduca la disuguaglianza e migliori il benessere umano»4.

Il nostro manifesto

cerca di interrompere l’attuale consenso politico e mostrare quale potrebbe essere una vera alternativa. Ha la forma di un quadro politico globale che, pensiamo, sia più adeguato alle profonde sfide che questo Paese, e l’umanità in generale, si trovano ad affrontare, in contrasto con il pensiero politico ed economico dominante. Afferma chiaramente cosa bisogna fare adesso per fermare la distruzione dei sistemi ecologici che sostengono tutti noi e garantire a tutti un benessere equo e sostenibile. Offre una visione completa per un futuro sostenibile, promuovendo cambiamenti politici coraggiosi in tutti i settori chiave, per affrontare le pressanti sfide ecologiche e sociali promuovendo al tempo stesso una società giusta ed equa. Comprende proposte per affrontare le crisi interconnesse del cambiamento climatico, del danno ecologico e della disuguaglianza sociale. Sottolinea l’urgenza di adottare politiche radicali ma realizzabili per creare un futuro sostenibile in cui la sicurezza economica coesista con la precauzione e la protezione ambientale. Sfida il tradizionale perseguimento della crescita economica, sulla base dell’evidenza, dell’etica e della fattibilità.

Il manifesto si sviluppa su due ambiti, per garantire il superamento di tutte e tre le crisi in cui siamo immersi.

Da un lato, il “Freno d’Emergenza” cioè una risposta d’emergenza alla crisi climatico-ecologica, cosa che richiede una sostanziale riduzione del consumo di energia e risorse naturali5. Il “Freno di emergenza” prevede, tra le altre, misure quali limiti annuali all’uso di combustibili fossili ed alle importazioni dipendenti dai combustibili fossili, riduzione della domanda di energia (garantendo che tutti abbiano accesso a energia sufficiente per mantenere la salute, il comfort e la dignità), sostanziale blocco del consumo di suolo, riduzione e spostamento dei trasporti verso opzioni a basse emissioni di carbonio.

Dall’altro, una “cintura di sicurezza” per sostenere tutte le persone che saranno colpite da questa transizione molto impegnativa – soprattutto quelle che già oggi “fanno fatica ad andare avanti” – e per costruire un benessere umano davvero equo e sostenibile. Secondo il pensiero della decrescita, infatti, la riduzione biofisica ed economica di produzione e consumi non implicherà affatto un peggioramento del benessere, ma anzi un suo miglioramento, a condizione di operare una ristrutturazione dei nostri modelli sociali, garantendo a tutti un accesso alle risorse socialmente ed ecologicamente equo, per soddisfare i bisogni umani – a differenza dell’economia della crescita che invece mira a perpetuarli ed amplificarli.6

Fuor di metafora, occorre adottare misure che garantiscano accesso a tutti e a tutte ai beni, alle infrastrutture e ai servizi fondamentali (così come definiti dall’ “economia fondamentale”), che andranno riprogettati e ripianificati nei loro modi d’uso con notevoli modifiche e riequilibrio degli stili di vita. Tutto ciò mentre avverrà una transizione profonda per dismettere le produzioni e i consumi superflui e dannosi fino a rientrare nei limiti ecologici planetari.

Il Manifesto quindi prevede e propone un piano che copre, tra le altre, le seguenti aree:

Servizi di base – Garantire che le persone possano soddisfare i propri bisogni fondamentali attraverso la fruizione di infrastrutture, beni e servizi fondamentali, realizzati senza scopo di lucro grazie ad una combinazione di riforme del lavoro e dei redditi.

Produzione e consumo – Attuare una revisione qualitativa e quantitativa dei processi produttivi (scegliendo democraticamente cosa produrre e consumare e ponendo stringenti limiti alla pubblicità) al fine di trasformare radicalmente le modalità di approvvigionamento della popolazione, finalizzandole alla diretta soddisfazione dei bisogni di base, orientandole al principio di sufficienza, riducendo drasticamente la dipendenza e lo sfruttamento di altre terre e popoli e, soprattutto, ilocalizzando quanto più possibile le attività produttive, a partire da quelle alimentati.

Macroeconomia e finanza – Fare un uso giudizioso dell’indebitamento pubblico, anche se ciò comporterà un aumento del debito nazionale a medio e lungo termine, è un modo valido per finanziare gran parte degli investimenti trasformativi necessari. Spostare le tasse in modo che si concentrino sull’uso eccessivo di energia e risorse, ricchezza, proprietà e valore dei terreni, migliorando la ridistribuzione. Riformare le istituzioni finanziarie e la governance aziendale affinché servano maggiormente gli interessi delle persone e del pianeta.

Resilienza e sicurezza civile democratica – Reindirizzare gran parte della spesa per la difesa verso la protezione civile e lontano da attività e industrie offensive, in modo che i cittadini possano contare su un aiuto strutturato e reattivo per prevenire e rispondere alle emergenze causate dal collasso ecologico e climatico e dalla crescente instabilità del pianeta e del contesto geopolitico.

Giustizia climatica e Sud del mondo – In qualità di attore globale, l’Europa deve esercitare un’influenza positiva per garantire la giustizia climatica e un mondo in cui le persone siano protette dagli impatti peggiori delle molteplici crisi eco-geopolitiche; sostenere finanziariamente il Sud del mondo e affrontare le ingiustizie attuali e storiche legate agli impatti climatici – cosa non solo giusta, ma anche nell’interesse di tutti; agire per la necessaria riforma del commercio internazionale.

Indicatori sociali – Sviluppare un piccolo insieme di indicatori sulla salute economica, sociale ed ecologica del Paese, da usare insieme come quadro per misurare il successo delle future politiche al posto del PIL, come già avviato in varie parti del mondo ed anche in Italia con il BES.

Scuola – Contribuire a una nuova educazione, cominciando con la scoperta di sé, liberandoci dall’individualismo egocentrico e dall’antropocentrismo e promuovendo un’educazione critica, emancipatoria, eco-spirituale, esperienziale, a favore della sufficienza, dei beni relazionali, dei saperi locali e pratici e di cosmovisioni ecologiche .

Pace – Fare pace con tutto e tutti, attraverso la concreta applicazione dell’Art. 11 Cost.7, avviando una progressiva e drastica riduzione di produzioni e spese militari, il superamento della NATO, la creazione di corpi civili di pace e di interposizione, la formazione di organismi di difesa regionale, conviviali e non violenti, la gestione non violenta della sicurezza e dei conflitti, fino a giungere al superamento di ogni forma di sopraffazione verso le persone, le comunità e la biodiversità.

Democrazia – Rianimare la democrazia, spostando in basso i luoghi della decisione, favorendo con coraggio ogni forma e istituzione di autogoverno e di autodeterminazione delle comunità locali, facendo affidamento con coraggio alle sensibilità delle persone e delle comunità e sulle loro capacità di interpretare e soddisfare le loro autentiche esigenze, ad esempio secondo la prospettiva della democrazia locale, di impianto municipalista e confederalista.8

Cultura e immaginario sociale – Le questioni ecologiche ed economiche della decrescita sono solo una parte (inter-)dipendente e derivata di una questione più generale, sociale, culturale, antropologica e spirituale; il progetto della decrescita quindi non potrà mai essere né chiaro, né coerente, né accettabile, né possibile, senza “decolonizzare il nostro immaginario” dai miti del progresso, della crescita, della modernità, della prosperità come benessere materiale ecc. – cioè senza mettere radicalmente in discussione le radici culturali profonde delle moderne società industriali.

I limiti della democrazia rappresentativa

I movimenti per la decrescita, al pari di altri gruppi e movimenti di cittadinanza attiva (movimenti ecologisti, femministi e intersezionalisti, postcoloniali, antispecisti che praticano forme di grassroots politics) hanno maturato un giudizio molto critico sui sistemi elettorali della democrazia rappresentativa liberale. Non solo per la torsione maggioritaria delle leggi elettorali, che deformano la rappresentanza a discapito della proporzionalità, e nemmeno – questione ancora più grave – per la “scalabilità” dei seggi da parte dei gruppi economici più influenti tramite cospicui finanziamenti diretti e indiretti a partiti, correnti, fondazioni, singoli candidati, ma soprattutto per la logica stessa che presiede il meccanismo elettorale che incentiva la delega, separa governanti e governati, riduce il ruolo del cittadino-elettore a spettatore-tifoso, crea un ceto politico professionale più attento a riprodursi piuttosto che alle sorti del bene comune. Del resto, la progressiva disaffezione degli elettori segnala quanto profonda sia la “spoliticizzazione” dei cittadini, tanto che il sistema democratico rappresentativo è stato più volte definito, da osservatori obiettivi, malato o persino morto. L’astensionismo è certo un fenomeno complesso, ma è diventato patologico specie tra i giovani e le fasce sociali più svantaggiate. Tutto ciò delegittima ab origine le decisioni dei governi.9

Fermo restando questo giudizio critico sull’attuale funzionamento delle istituzioni democratiche rappresentative, sappiamo bene che molte decisioni continuano a passare attraverso le aule parlamentari e non possiamo quindi essere indifferenti ai modi con cui si formano le rappresentanze e le maggioranze. Per questa ragione le associazioni firmatarie presentano ai cittadini, ai movimenti e ai partiti che si presenteranno alle prossime elezioni europee il seguente “Manifesto”, chiedendo loro di occuparsi dei temi della pace, del clima, delle diseguaglianze secondo i valori della giustizia, della sobrietà, della semplicità volontaria, del consumo critico e dell’economia solidale.

Prossimi passi

Il nostro manifesto è audace e realistico. I leader politici devono spiegare onestamente ai cittadini che non possiamo andare avanti come fatto finora e che sono necessari dei grandi cambiamenti. Offriamo queste nostre proposte ai leader e agli opinionisti di tutti i partiti, affinché le discutano, le integrino – o magari anche le adottino!

La nostra iniziativa si inserisce nel contesto delle prossime elezioni europee, ma tratta di un’opportunità per cercare di entrare nel dibattito politico a tutti i livelli, assieme a quanti nel panorama associativo e attivistico dimostreranno interesse verso questa proposta, poiché sappiamo che nessun partito – ad oggi – sarebbe disponibile a farlo proprio, anche solo parzialmente.

A tal fine, stiamo cercando feedback e contributi da persone e associazioni che vorranno contribuire alla prima versione ufficiale di questa proposta che è stata oggetto di un primo momento di confronto allargato il 20 aprile 2024 in occasione dell’evento Beyond Growth Italia.

 

1 Sono disponibili un long documentStop the Damage! Build a Better Future!” ed un Summary di due pagine. https://degrowthuk.org/
2 Per essere più precisi, è possibile disaccoppiare il PIL dalle emissioni attraverso, ad esempio, la sostituzione delle fonti fossili con quelle rinnovabili, ma non ci sono prove di disaccoppiamento assoluto a lungo termine del PIL dall’uso delle risorse; anzi, tutti i modelli esistenti concordano sul fatto che tale disaccoppiamento non può essere raggiunto, nemmeno negli scenari più ottimistici. Cfr. Parrique, T. et al. (2019): Decoupling debunked. Evidence and arguments against green growth as a sole strategy for sustainability. https://eeb.org/library/decoupling-debunked/ . Traduzione italiana a cura di MDF “Il mito della crescita verde”: https://bit.ly/3D5qKq8
3 Demaria & Latouche in “Pluriverso. Dizionario del post-sviluppo”, Orthotes 2021
4 Jason Hickel: What does degrowth mean? A few points of clarification, Globalizations. DOI: 10.1080/14747731.2020.1812222. Traduzione italiana: https://comune-info.net/la-decrescita-necessaria-2/
5 Per ritornare in equilibrio con i limiti biofisici del pianeta, da cui dipende la sopravvivenza della nostra e di altri milioni di specie, Paesi ricchi come l’Italia devono ridurre l’utilizzo di risorse ed energia di una misura tra il 60% e l’80%, ovviamente in modo molto differenziato tra le diverse classi sociali – motivo per cui ciò interseca la questione delle disuguaglianze e della giustizia ambientale e sociale.
6 André Gorz già nel 1977 aveva scritto: “L’utopia oggi non consiste affatto nel preconizzare il benessere attraverso la decrescita e il sovvertimento dell’attuale modo di vita; l’utopia consiste nel credere che la crescita della produzione sociale possa ancora condurre a un miglioramento del benessere, che essa sia materialmente possibile.”
7 “l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”
8 Seguendo Latouche (Breve storia della decrescita, Bollati Boringhieri 2021), siamo convinti che “il socialismo ecologico e democratico si può realizzare soltanto in un territorio a dimensione umana. La decrescita implica dunque che anche la politica venga rilocalizzata, inventando o reinventando una democrazia di prossimità…” che, per dimensione del demos va dalla singola comunità alla bioregione: “Si tratta, come abbiamo visto per le eco-o bioregioni, di costruire degli aggregati politici liberati dal totalitarismo economico e organizzati su un modello confederale.” (Dal documento del Gruppo Comunità presentato all’Assemblea AD del 28/01/24 e disponibile a questo link)