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«Nè la rivoluzione nè la riforma possono, in ultima istanza,
cambiare una società, senza che ci sia da raccontare una storia nuova e potente,
tanto persuasiva da bloccare i vecchi miti e trasformarsi nella storia preferita…
Se si vuole cambiare una società si deve narrare una storia alternativa».
IVAN ILLICH

 

Dai diamanti…”

I

Buonaventura non era solo il suo nome. Era uno stato interiore. Era un invito, raccolto tanti anni prima da sua madre che decise per lui quel nome, e che gli trasmise la sua fiducia nelle leggi dell’universo. Era una missione – la sua – di contagiare chiunque lo incontrasse. Era un inno, un canto. Era il proposito che aveva segnato ogni giorno della sua vita.

Se è vero quello che gli antichi saggi dicevano «Il modo in cui raccontiamo la nostra vita è anche il modo in cui ci apprestiamo a viverla», Bonaventura avrebbe potuto aspettarsi un futuro radioso. Non si abbatteva mai, nemmeno di fronte ai problemi più grandi; sapeva sempre vedere il lato buono delle cose, e il modo in cui raccontava ciò che gli accadeva, era sempre venato da un fondo di speranza.

Quando, molti anni prima, i fondatori di Limite arrivarono dalla pianura, Bonaventura non era che un ragazzo, magro, spilungone e un po’ buffo, con i capelli crespi, sempre arruffati. Amava dire che, quando lasciarono la pianura diretti sull’altopiano e venne chiesto loro di portare solo gli oggetti indispensabili, non ritenne che un pettine potesse annoverarsi tra questi. Ovviamente tutti indovinarono presto che si trattava di una scusa, ma tant’è. Le sue abitudini non mutarono con gli anni, e non solo riguardo ai capelli. Il suo buon umore si rivelò, soprattutto nei primi tempi che comprensibilmente furono assai duri, il più grande alleato per i limitesi. Nonostante la sua giovane età, quando c’erano da prendere decisioni importanti, o quando si discuteva di problemi fondamentali, gli anzianiche a buon titolo venivano considerati i più saggivolevano sempre che anche lui fosse presente. La sua indole però era quella del battitore libero. Nonostante fosse stato corteggiato a lungo da tanti, non accettò mai di ricoprire cariche ufficiali, non fù mai Custode, nè Consigliere e tuttavia, non mancò mai di far sentire il suo appoggio e di offrire la sua collaborazione sia ai Custodi che ai Consiglieri, come del resto a tutti gli altri limitesi. Quando i nuovi arrivati vennero ospitati a Limite e si iniziò a ragionare su come farli vivere nel villaggio, arrivando alla conclusione di ristrutturare un edificio fino ad allora non utilizzato, subito dopo il problema del cibo, si trovarono a dover affrontare con i nuovi amici fuggitivi… il problema esattamente opposto.

«Come avete affrontato la questione dei servizi igienici a Limite?» avevano chiesto subito i nuovi arrivati. Chissà perché, gli anziani vollero che fosse Buonaventura a rispondere.

«Con lo stesso spirito con cui abbiamo affrontato tutto il resto!» si affrettò a dire l’uomo. Ovviamente la risposta era del tutto insoddisfacente, almeno per i nuovi arrivati.

«Certo, nessuno di noi si aspettava di trovare qui un sistema fognario come abbiamo noi in pianura» aveva replicato Jacopo. Fu allora che lo sguardo di Buonaventura si accese all’improvviso di quella luce strana che i limitesi conoscevano bene e che i nuovi arrivati erano destinati – in un modo o nell’altro – a scoprire assai presto. I Consiglieri già ridacchiavano sotto i baffi, pregustando le scintille che di lì a poco, ne erano certi, il dialogo tra i due avrebbe prodotto.

«Suppongo che in pianura, da un certo punto di vista, scavare delle fognature sia più facile…» iniziò Buonaventura in sordina. Jacopo cadde subito nella rete che gli era stata tesa:

«Certamente un terreno morbido e omogeneo agevola molto questo tipo di intervento». Si vedeva che era un ingegnere «D’altro canto è vero che in pianura manca una cosa fondamentale»

«Sarebbe?» chiese uno degli anziani.

«Le pendenze – si affrettò a spiegare Jacopo – Per far defluire naturalmente i reflui è ovviamente necessaria una certa pendenza delle tubazioni. Tutto ciò deve essere ben calcolato. Non è che perché siamo in pianura si possono fare tubazioni in piano… non funzionerebbero. Forse in un luogo come il vostro… insomma, seguendo il dislivello naturale del terreno si dovrebbero poter omettere calcoli complessi che invece a noi sono necessari…»

«Non ci abbiamo mai pensato – replicò Buonaventura – Perché qui il terreno è roccioso. I nostri avi scelsero le porzioni di terreno migliore per coltivare, per questo le case vennero costruite solo su questo lato dell’altipiano, come vedete. Le abitazioni vennero edificate nella parte più rocciosa, sia per essere più stabili, sia per sottrarre meno terreno fertile»

«Comprendo questa scelta Buonaventura, ma questo, non negherai, ha anche risvolti negativi. Le fogne sicuramente sono uno di questi, mi pare evidente…»

«Mmmm…. – bofonchiò Buonaventura – Tu che avresti fatto?»

La domanda stuzzicò alquanto Jacopo, che ancora non si avvedeva del cul de sac in cui Buonaventura lo stava conducendo.

«Così su due piedi… forse delle condutture superficiali si sarebbero potute realizzare. Scavando il meno possibile, e sfruttando la pendenza naturale del luogo…»

Buonaventura riflettè alcuni secondi prima di rispondere.

«Hai detto una cosa interessante – disse – giustamente si devono sfruttare al meglio le caratteristiche dell’ambiente in cui siamo. Questo è il primo punto da tenere a mente. Da un certo punto di vista effettivamente abbiamo sfruttato la pendenza, come dici tu… ma non solo quella, anche l’orientamento e l’insolazione»

Si avvide subito che Jacopo non lo seguiva più.

«Venite – disse, accennando a Jacopo e agli altri che erano con lui – Vedere direttamente è più semplice che fare lunghe spiegazioni, seguitemi».

La piccola comitiva si diresse lungo un piccolo sentiero che portava verso sud. Il terreno declinava a mezzogiorno, offrendo un dislivello su cui il sole batteva dall’alba al tramonto. Prima di imboccare il semplice tracciato, tutti notarono dei rigogliosi cespugli di rose in fiore, delle varietà più diverse. Più di uno dei visitatori, soprattutto le donne, si soffermarono ad ammirarle per un istante. Bonaventura nel frattempo aveva ripreso a parlare.

«Ci sono diverse strutture come quella che vedremo, distribuite in vari punti del villaggio, tutte orientate a sud. Questa è la prima che abbiamo costruito, diciamo che per noi ha un significato particolare, è stato il primo esperimento che abbiamo fatto…».

II

La struttura si presentava come una piccola cabina costruita con assi di legno. La particolarità che si notava subito avvicinandosi, è che era situata proprio sul ciglio di un poggio. Una serie di pali permetteva una sorta di piccola piattaforma a sbalzo, sotto alla quale si intravedeva qualcosa che Jacopo ancora non decifrava bene. Venne condotto dagli altri dapprima in alto, sul davanti della cabina. In realtà le cabine erano due, o meglio, la struttura era divisa in due parti uguali. L’interno era spartano, come tutto del resto a Limite. Un rudimentale sedile con un’asse di legno al centro della quale era stato ricavato un foro circolare con relativo tappo era in pratica l’unica “dotazione” del servizio.

Jacopo iniziava ad intuire la funzione dei compartimenti che aveva visto in basso, a ridosso del poggio, compartimenti che evidentemente comunicavano direttamente con il foro praticato nei sedili in alto.

«Se ho capito bene… azzardò il funzionamento è semplicemente… “a caduta”, giusto? E poi che succede? Là sotto intendo…»

Venne condotto sull’altro lato della struttura, sotto il poggio. Guardando meglio vide che anche qui, i contenitori erano due, uguali, divisi da una paratia.

«Perché pensi che ce ne siano due?» chiese Buonaventura, anticipando la curiosità dell’altro. Jacopo si strinse nelle spalle. «Forse… uomini da una parte e donne dall’altra?» tentò. Tutti i limitesi risero di gusto.

Bonaventura aprì gli sportelli di entrambi i contenitori e chiese: «Jacopo avvicinati… che differenze noti?»

L’uomo dette rapide occhiate ai due contenitori. «Così a occhio… – disse – direi che questo contiene qualcosa che, se non avessi visto cosa c’è sopra… potrei quasi definire compost».

«Esatto! – esclamò Bonaventura – E l’altro?»

«Beh, insomma… mi pare evidente! Sono… ehm… escrementi»

«Poco fa quando ti ho fatto una domanda hai detto “a occhio”… E a naso? Non ci sono forse anche differenze di odore?»

Jacopo azzardò e sporse la testa dentro i due vani. Effettivamente il primo aveva un odore che non era del tutto sgradevole, si sarebbe detto provenire più da terra umida che non da deiezioni umane. Bonaventura incalzò: «La differenza tra i due vani non è per distinguere le donne dagli uomini come avrai già intuito. C’è una differenza molto più utile che rende il funzionamento di questo sistema molto efficace»

«E sarebbe?»

«Il tempo – concluse radioso Bonaventura ­– Questo qui è semplicemente inutilizzato da alcuni mesi. Ora usiamo l’altro. Tutti, uomini e donne ovviamente! – rise – Diamo tempo alla natura di fare il suo corso. Basta aggiungere un po’ di terra matura, un po’ di foglie secche se serve, i vermi fanno il resto. Quando il compost è maturo, svuotiamo il contenitore, smettiamo di usare questo e riprendiamo a usare quello – disse, indicando uno dopo l’altro i due comparti – E il ciclo ricomincia»

Jacopo, pur ammettendo che il tutto aveva un senso, scosse comunque il capo: «Perdonami, ma… non credi che sia più comodo un sistema fognario? Più funzionale?»

«Comodo sicuramente sì. Funzionale non direi proprio. Perdonami se sono un po’ tranchant. Sei ingegnere giusto? – Jacopo annuì – Allora rispondi: sai quanto pesano in media gli escrementi che produci durante… una “seduta” diciamo così?»

Jacopo sorrise, visibilmente imbarazzato. Era ciò che Bonaventura si aspettava.

«Vedi, il problema della gente di pianura è questo! Perché dovrebbe essere sconveniente fare calcoli sui propri escrementi, quando nella vostra cosiddetta civiltà pretendete di misurare tutto? Ognuno di noi produce in media 200 grammi di escrementi alla volta. Sai quanti litri di acqua si usano in uno sciacquone di un normale WC? Circa 7. Se supponiamo che un litro di acqua pesi un chilo, ogni volta che premi quel pulsante tu pensi di fare qualcosa di comodo e funzionale, ma in realtà stai moltiplicando il problema di 35 volte. Stai producendo 7,2 chili di acqua sporca che qualcuno dovrà purificare. Certo è comodo, per te. Ma funzionale non direi proprio. Gli escrementi sono composti per l’80% di acqua. Nel tempo che rimangono qui a maturare, l’acqua evapora. Per facilitare questo abbiamo orientato queste due camere a sud, e vedi, questa piccola “finestra” permette ai raggi del sole di aiutare ad essiccare il contenuto».

Jacopo ascoltava meditabondo, incapace di proferire alcunché.

«Riassumiamo Jacopo… puntualizzò Buonaventura La soluzione che in pianura è la più diffusa, per non dire l’unica, prevede di moltiplicare il problema di 35 volte prima di allontanarlo da chi lo ha creato per scaricarlo (mai termine fu più appropriato!) addosso a qualcun altro, il più lontano possibile, che avrà l’onere di risolverlo. La nostra soluzione invece riduce progressivamente il problema dell’80%, mantenendo tutto in loco, e ottenendo da quello che appariva uno scarto, un prodotto riutilizzabile. Ora onestamente quale delle due ti sembra la soluzione migliore?»

Jacopo abbassò lo sguardo, in silenzio. Passarono una manciata di secondi che a Jacopo parvero un’eternità. Alla fine si decise a domandare: «Che ne fate del compost?».

«Mi pare che tu abbia apprezzato le nostre rose venendo qui giusto? Ecco, il compost lo utilizziamo per far crescere i nostri fiori. E sai qual’è la cosa più buffa? Che l’abbiamo imparato da voi»

Jacopo alzò di scatto lo sguardo stupito.

«Molti anni fa, quando ancora in pianura si producevano musica e poesie, avete avuto grandi autori. Qui a Limite non abbiamo delle vere e proprie “strade”, il villaggio è piccolo e tutti si conoscono. Non c’è ragione quindi di dare un nome alle vie del paese. Ma al sentiero che porta qui abbiamo voluto dare un nome, in ricordo di uno dei più grandi artisti che abbiate avuto in pianura, che ha ispirato molti di noi, e non solo per questo».

Solo allora Jacopo ricordò che poco prima, quando avevano imboccato il breve tragitto che li aveva portati lì, aveva visto un rudimentale cartello di legno inciso, sopra un palo.

C’era scritto “Via del campo”.

***

Ci vediamo a Limite, tra due mesi, con il prossimo racconto.

Non mancare!